A Parigi è in corso una ben strana mostra: si tratta di vedere, scrutare, rimirare il corpo umano, organo per organo… direttamente utilizzando persone morte. I cadaveri di 17 giovani cinesi, privati di pelle, di organi, e messi in posizioni da “vita quotidiana”, sono in mostra a Parigi nell’ambito di una mostra “Our body, A corps ouvert“. Ma non in un ambito dedicato agli studenti di medicina, ma in una mostra aperta al pubblico, con “composizioni” particolarmente artistiche: cadaveri messi in posizioni spettacolari (uno che corre, uno che tira con l’arco), come se invece che di poveri morti si trattasse di statue di cera o di bronzo…
La mostra ha suscitato l’attenzione allarmata di molti. Due organizzazioni per i diritti umani (”Ensamble contre la Peine de Morte” e “Solidarité Chine”) si domandano addirittura la provenienza dei cadaveri in un comunicato stampa agghiacciante. Vari intellettuali si sono dichiarati contro la mostra, ma anche il Comitato Francese di Bioetica si era pronunciato contrariato, paragonandola a puro voyeurismo che “induceva a uno sguardo tecnicistico sul corpo umano”.
La mostra ci porta a due riflessioni: la prima sul rispetto del corpo umano: non si dovrebbe usare il corpo di un defunto per mostrarlo al pubblico: il diritto alla riservatezza e al pudore esiste ben oltre la morte, almeno nella nostra cultura occidentale. In Francia si domandano come avrebbero reagito i media parigini se i corpi di 17 giovani francesi morti fossero stati esposti al pubblico all’altro capo del mondo. Inoltre, mettere i cadaveri in posizione innaturale per un morto, o addirittura farne delle sezionatore artistiche, come si vede nel sito della mostra, desta un allarme verso la “reificazione” possibile del corpo umano, il quale anche dopo la morte non è mai pari ad un ammasso di ossa e cartilagine, come dice il Comitato Francese di Bioetica a proposito: “I corpi rappresentati sono stati degli individui. La loro esibizione (e la loro reificazione) costituisce un attentato alla loro identità e dunque alla loro dignità?” Il secondo livello è quello del voyeurismo, che oggi dilaga sulla televisione in tanti telefilm in cui vengono realisticamente e cruentamente mimate autopsie, espianti, sezioni di cadaveri. Quale molla spinge l’uomo ad interessarsi dei visceri di un morto, ma anche a prender piacere dalla visione di una mostra di strumenti di tortura (ce ne sono molte in Italia)?
Certamente il gusto del sangue è sempre stato presente nelle favole e nei miti, dall’Orco che decapita i figli in “Pollicino”, ad Achille che dissacra il corpo di Ettore. Ma era chiaro che erano favole. Ora si fa un passo ulteriore, con la differenza che, forse scontenti della propria realtà, si cerca di entrare virtualmente in una realtà, in un corpo altrui altrui, di penetrarne le viscere, in modo realistico, senza tener presente - come nelle fiction TV- il rispetto che si deve ad un morto, al morto in carne ed ossa e a quello virtuale che, da che mondo è mondo, pietà laica e precetto religioso impongono di lasciar riposare in pace se non di onorare.
La mostra arriverà in Italia? E ci troverà in fila a pagare per vedere i 17 giovani ragazzi cinesi esposti alla nostra curiosità malinconica e avida? La risposta sta alla nostra sensibilità e al nostro amore per la sacralità della vita, e della morte.
La mostra ha suscitato l’attenzione allarmata di molti. Due organizzazioni per i diritti umani (”Ensamble contre la Peine de Morte” e “Solidarité Chine”) si domandano addirittura la provenienza dei cadaveri in un comunicato stampa agghiacciante. Vari intellettuali si sono dichiarati contro la mostra, ma anche il Comitato Francese di Bioetica si era pronunciato contrariato, paragonandola a puro voyeurismo che “induceva a uno sguardo tecnicistico sul corpo umano”.
La mostra ci porta a due riflessioni: la prima sul rispetto del corpo umano: non si dovrebbe usare il corpo di un defunto per mostrarlo al pubblico: il diritto alla riservatezza e al pudore esiste ben oltre la morte, almeno nella nostra cultura occidentale. In Francia si domandano come avrebbero reagito i media parigini se i corpi di 17 giovani francesi morti fossero stati esposti al pubblico all’altro capo del mondo. Inoltre, mettere i cadaveri in posizione innaturale per un morto, o addirittura farne delle sezionatore artistiche, come si vede nel sito della mostra, desta un allarme verso la “reificazione” possibile del corpo umano, il quale anche dopo la morte non è mai pari ad un ammasso di ossa e cartilagine, come dice il Comitato Francese di Bioetica a proposito: “I corpi rappresentati sono stati degli individui. La loro esibizione (e la loro reificazione) costituisce un attentato alla loro identità e dunque alla loro dignità?” Il secondo livello è quello del voyeurismo, che oggi dilaga sulla televisione in tanti telefilm in cui vengono realisticamente e cruentamente mimate autopsie, espianti, sezioni di cadaveri. Quale molla spinge l’uomo ad interessarsi dei visceri di un morto, ma anche a prender piacere dalla visione di una mostra di strumenti di tortura (ce ne sono molte in Italia)?
Certamente il gusto del sangue è sempre stato presente nelle favole e nei miti, dall’Orco che decapita i figli in “Pollicino”, ad Achille che dissacra il corpo di Ettore. Ma era chiaro che erano favole. Ora si fa un passo ulteriore, con la differenza che, forse scontenti della propria realtà, si cerca di entrare virtualmente in una realtà, in un corpo altrui altrui, di penetrarne le viscere, in modo realistico, senza tener presente - come nelle fiction TV- il rispetto che si deve ad un morto, al morto in carne ed ossa e a quello virtuale che, da che mondo è mondo, pietà laica e precetto religioso impongono di lasciar riposare in pace se non di onorare.
La mostra arriverà in Italia? E ci troverà in fila a pagare per vedere i 17 giovani ragazzi cinesi esposti alla nostra curiosità malinconica e avida? La risposta sta alla nostra sensibilità e al nostro amore per la sacralità della vita, e della morte.