25 giu 2008

NATURA E OMICIDIO

Domenica scorsa ho fatto una gita in montagna con la mia famiglia. Una magnifica passeggiata sulla Maiella. Ad ora di pranzo ci siamo fermati nell'area picnic per uno spuntino. Un bosco molto suggestivo. Peccato che altre persone avevano lasciato tra le piante ogni sorta di immondizia: sigarette, pacchetti vuoti, bottiglie di birra, carte, lattine, ecc.
Mi è venuto un sussulto ed una grande rabbia per quella palese inciviltà. Deturpare così un luogo incantevole.
Ma poi ho fatto qualche riflessione: cosa spinge un uomo a non curarsi affatto dell'ambiente? Perchè gettano tutto per terra quando sarebbe semplicissimo raccogliere in una busta e portare via? Perchè lo fanno?
Le risposte sono state immediate. Sapete cosa insegnano ai nostri figli?
Insegnano che è un diritto della madre ammazzare il proprio figlio se non lo vuole.
Insegnano che la vita di un handicappato vale molto meno di quella di un bambino sano.
Insegnano che i malati possono anche essere uccisi. Insegnano che qualsiasi desiderio perverso può diventare un diritto.
Questo insegnano i mass media, molti professori, la scuola in genere, e la cultura dominante.
Imbottiscono i nostri figli di ogni sorta di MALE.
I bambini nascono puri ed innocenti ma poi la scuola li rovina inculcando loro questa cultura di morte e distruzione.
Così non mi sono più scandalizzato di quelle cartacce per terra.
Che vuoi che sia sporcare un po' quando è lecito ammazzare bambini innocenti?

23 giu 2008

ULTIMO CAPITOLO

CAPITOLO 14: UN BIVIO


L'arringa finale del pubblico ministero Francesco Vita è terminata tra gli applausi. Gli spettatori sottolineavano orgogliosamente e con un pizzico di presunzione la loro superiorità e la loro peculiarità di fronte ad una macchina. Sono uomini e dunque unici ed irripetibili nell'universo.
Assorto nei suoi pensieri Paolo Giusto esce lentamente dal Tribunale. Ripensa a tutto quello che è stato detto in aula. Studia la difesa che il giorno seguente dovrà esporre. Ma soprattutto ripensa alle parole di Alfonso Sghettini.
Attende con disperata certezza di essere contattato dalla CIA.
E naturalmente il colonnello Barnes è lì, davanti al portone del Tribunale che lo attende seduto sui sedili posteriori della sua Mercedes bianca.
"Salga pure mister Giusto, l'accompagno a casa".
Come vittima prescelta per un sacrificio religioso Paolo Giusto entra in macchina senza dire una parola.
Qualche minuto di silenzio e poi, senza mezzi termini, l'avvocato rompe il ghiaccio: "coraggio Barnes, che cosa sapete di me".
"E' proprio come prevedevo" inizia con un ironico risolino Barnes.
"Lei, mister Giusto, è un ragazzo intelligente e perspicace. Ha intuito che sappiamo tutto del suo passato e soprattutto di quel tragico episodio che ha coinvolto sua madre. Come ben sa la CIA riesce ad ottenere sempre ciò che vuole. Ed ora noi vogliamo che Luca Fazi venga condannato all'ergastolo. Questo prototipo di uomo deve risultare un fallimento totale della scienza. Lei, mister Giusto, deve fare in modo che domani, in occasione della sua arringa finale, Luca Fazi venga odiato dalla pubblica opinione, ritenuto un mostro dalla scienza e condannato a vita dalla giuria. Altrimenti sa che cosa accadrà? Accadrà che purtroppo sarà lei a dover subire quell'umiliante sentenza di condanna da parte di qualche altra giuria italiana. Per lei sarebbe la fine. Potrebbe dire addio a sua moglie per sempre e continuare la sua vita in una cella di tre metri per tre. Non ha troppo tempo per pensarci. Addio mister Giusto".
La Mercedes accosta davanti al portone di casa di Paolo.
L'avvocato scende.
L'automobile riparte.
Paolo si accende una sigaretta. Non ha nemmeno la forza di rientrare a casa. E' distrutto. Disperato.
Aveva cercato di dimenticare quel terribile giorno della sua vita, ma i fatti glielo avevano ripresentato prepotentemente davanti agli occhi.
Fuma. Il vento gli scompiglia i capelli ma lui non se ne accorge.
E' tutto finito.
Piange. E quei terribili ricordi la straziano.
E' solo. Ancora una volta solo. Come quel maledetto giorno.
La gente gli passa accanto, ma sono solo ombre.
Paolo ha paura.
Eva era affacciata alla finestra, sicura che il marito sarebbe passato a casa. Voleva vederlo per scaricargli tutta la sua rabbia, ma allo stesso tempo era terrorizzata all'idea che la loro storia d'amore stesse finendo. Amava Paolo in modo incredibile, gli piaceva tutto di lui in particola il modo in cui le accarezzava la testa quando guardavano la televisione insieme a letto, prendeva sonno sempre prima di lui ed adorava l'idea di addormentarsi con la sua mano tra i capelli. Non riusciva a credere che le stesse mani fossero riuscite a toccare un'altra donna, il solo pensiero la faceva stare male, la indignava e le provocava una rabbia incredibile. Come poteva averle fatto questo, dopo tutto quello che si erano detti, le promesse fatte e i sogni in comune da realizzare?
i suoi pensieri vengono interrotti dal rumore della serratura, Paolo entra le si getta al collo, la bacia.
"Amore mio aiutami tu. Non so cosa fare"
Singhiozza come un bambino.
Eva lo allontana e si passa una mano sulla bocca come se volesse pulirsi da quel bacio che vede sporco e non sincero. Lui le prende il viso tra le mani e la supplica di ascoltarlo. Lei non vuole sentirlo ma la rabbia e la pura di perderlo le bloccano le gambe. Non ce la fa a scappare via.
Con quei jeans attillati e quella maglietta aderente è veramente sexi, Paolo vorrebbe stringerla a se per farle capire quanto la ama e che non troverà mai una donna tanto bella che e lo faccia sentire vivo, come Eva.
"Sei bellissima amore mio."
"per favore Paolo non fare scene pietose, sono così bella che ti sei fatto un'altra , fregandotene di me, di noi e del nostro matrimonio. Se vuoi provare ad addolcirmi con dei complimenti stai sprecando il tuo tempo, per me è finita e basta, se ti dò una possibilità per parlare è solo per capire se in qualche cosa ho sbagliato io o se tu sei semplicemente un bastardo."
Lui si fa cadere su una poltrona e comincia a raccontare...E' tutto molto contorto, quasi inverosimile, Eva è sbalordita dubita della sua sincerità, ma mano mano che Paolo va avanti tutta la storia inizia a prendere i contorni di pazzesca tragica realtà.
Il tradimento sarebbe stato molto meno doloroso. Eva non riesce a credere di aver vissuto tanto tempo con una persona capace di certe cose, allora suo marito era un estraneo. Tanti anni della sua vita passati accanto ad un folle.
"Per favore Paolo smettila, non può essere vero.2
"Era l'unica cosa che potevo fare Eva, cerca di capirmi."
Ma lei non capiva, non poteva capire, la rabbia iniziale si trasformò in angoscia e paura, aveva sposato un mostro. Iniziò a tramare e il cuore le batteva all'impazzata, voleva scappare via il più lontano possibile, dove lui non l'avrebbe mai trovata. Le sue mani diventarono gelide. Voleva picchiarlo, insultarlo ma la paura era troppa e rimase immobile, con la schiena appoggiata al muro come se volesse proteggerla da quell'uomo pericoloso, poi trovò il coraggio di urlare, un grido forte, disperato.
"Sei un mostro, mi fai paura, vattene, vattene, scompari dalla mia vita, vattene!"
Aprì la porta e butto fuori il cappotto del marito, Paolo si alzò ed usci senza dire una parola, Eva chiuse la porta a chiave, aveva paura di lui.
Le lacrime le scivolavano sul viso. Voleva lavare con il pianto le cose orrende che aveva ascoltato. Voleva svegliarsi da quell'incubo. Ma oramai nell'incubo ci viveva e quelle cose erano successe veramente e nessuno mai avrebbe potuto più cancellarle.
Paolo si allontana.
Cammina. E piange. E si tormenta.
Entra in una chiesa. Ma non riesce a pregare.
Si sente sporco, dannato.
In fondo alla chiesa, sopra l'altare, c'è raffigurato un enorme Cristo con le braccia spalancate.
E' l'unico che lo accoglie, è l'unico che gli va incontro.
Paolo ha una gran voglia di abbracciarlo, di morire al suo passato, di morire a quel vecchio uomo egoista ed assassino che lo ha trascinato nel baratro.
Vorrebbe nascere un'altra volta. Vorrebbe cominciare tutto da capo.
Vorrebbe abbandonarsi completamente in quel Cristo che è lì in fondo e che lo aspetta a braccia aperte. Ma si vergogna.
Si disprezza, quasi si odia.
Sa che nessuno potrebbe capire ed avere pietà di lui.
Ma anche di fronte a se stesso la sua immagine è sporca.
"Dio mio aiutami Tu".
Si avvicina un anziano sacerdote.
"Figliolo che cosa ti tormenta così tanto"?
"Padre, sono disperato. La mia vita è finita. Ho peccato in modo irreparabile".
Paolo tra le lacrime dà inizio al suo sfogo angosciante: "è successo quattro anni fa. Vivevo con i miei genitori che amavo profondamente. Non potevo vederli soffrire in quel modo. Avevano già scontato troppe volte le brutalità di questa vita schifosa. Poi la morte di mio fratello è stata per loro come una spada che si conficca nel cuore ma che non ti fa morire. Ti tortura, ti lacera di dolore, ma non ti uccide. Ogni attimo della loro giornata era dolore, angoscia, tormento. Non potevo fare niente per aiutarli. Tornavo a casa con un sorriso ma le loro lacrime erano più forti, la loro disperazione più intensa.
Cercavo di farli uscire ma erano stanchi delle vanità del mondo.
Non incontravano più nessuno. Erano chiusi nello strazio di una vita inutile. Ero disperato anch'io.
Poi morì mio padre. Stranamente non soffrivo. Ero felice che per lui fossero finite quelle tristi giornate terrene. Si era liberato finalmente dalle catene del dolore. Dopo un'esistenza di disperazione finalmente riposava in pace. Fu allora che maturai l'idea di regalare anche a mia madre il sospirato riposo eterno.
Sì padre, ho ucciso mia madre! Con la complicità di un medico ho scambiato le sue quotidiane medicine per il cuore con un raffinatissimo veleno che non lascia traccia.
Ora sono disperato. Credevo che l'eutanasia fosse la forma migliore per eliminare il dolore.
Ora non so se volevo eliminare il suo dolore oppure accontentare il mio egoismo eliminando dalla mia vita un costante riferimento di sofferenza, di strazio. Mia madre moriva e portava con sè quelle lacrime amare in cui affogava la mia spensieratezza.
Hanno scoperto tutto ed ora mi ricattano. Vogliono che li aiuti in un gioco sporco, che darebbe un colpo definitivo alla mia coscienza, altrimenti racconteranno tutto alla polizia".
"Figliolo" lo riprende l'anziano sacerdote con una voce dolcissima "oggi il Signore ti ha salvato. Nella disperazione di un atto terribile il Signore ha toccato il tuo cuore e ti ha perdonato. Asciuga quelle lacrime e giosci. Sei venuto in questo luogo sacro con lacrime di pentimento ed il Signore fa festa perchè ha ritrovato un figlio che si era perduto. Ha ritrovato un figlio che presuntuosamente ed egoisticamente si era voluto sostituire a Dio reputandosi giudice della vita di un'altra persona.
E' il peccato stesso che si è insinuato in te, nel tuo spirito, nella tua anima ed ha prodotto un addormentamento della coscienza, una specie di anestesia spirituale. Esiste una narcosi da peccato.
Tu non hai riconosciuto più il tuo vero nemico, il padrone che ti tiene schiavo, il peccato. Hai agito con empietà, lontano da Dio, volendoti sostituire a Lui, dando alla tua vita il solo scopo del piacere, del benessere fisico e psicologico momentaneo, dimenticando gravemente un'altra fondamentale dimensione dell'individuo che è la sua dimensione spirituale. Poi hai continuato a sbagliare perchè in questi anni non hai cercato di liberarti dal peccato, ma tutto il tuo impegno si è concentrato nel liberarti dal rimorso del peccato e cioè hai negato il problema anzichè risolverlo, hai ricacciato e seppellito il male nell'inconscio anzichè farlo affiorare, rimuoverlo. Ma finalmente questa mattina ti sei alzato ed hai scoperto di aver dormito tutta la notte con un serpente velenoso accovacciato in un angolo della stanza. Attraverso il peccato, il dolore, la sofferenza hai ritrovato Dio che ti accoglie a braccia aperte e fa festa.
Ciò che hai commesso è gravissimo e sarà giudicato dagli uomini assai severamente perchè gli uomini non sanno che cosa è la misericordia. Ma tu devi essere felice perchè il Signore non ti abbandona mai e ti ha accolto nella sua casa. Ora va, sereno, pronto ad affrontare ogni punizione terrena. Va e non cedere ai ricatti di chi ti vuole condurre nel delitto, di chi vuole deviare il tuo comportamento. Invoca su di te lo Spirito Santo che ti guidi in questa ultima battaglia. Esulta, Gesù ti ama".
Paolo abbraccia spiritualmente quel gigantesco Cristo con le braccia aperte.
All'improvviso i suoi occhi non piangono più.
Sente un forte calore dentro di sè.
Un senso di libertà e di pace gli invadono piacevolmente l'anima.
Lo spirito assopito si è svegliato.
Poche parole per ridare luce ad un cuore distrutto, un cuore immerso nel buio che ha ritrovato la speranza e la strada della salvezza.
Ora Paolo sa cosa fare ed è entusiasta.
E' tornato finalmente ad essere un uomo. Un vero uomo.
Entra in aula, bello come non lo era stato più da tempo.
Si alza in piedi con fierezza.
In ultima fila scorge la moglie che gli sorride.
Con quei grandi occhi scuri gli lancia un gioioso ti amo.
Inizia: "spesso mi sono chiesto cosa provasse Fazi durante questo dibattimento. L'idea di essere rinchiuso a vita in una piccola cella terrorizzerebbe chiunque. Non uscire mai più dal carcere; mai più al mare; mai più in vacanza; mai più con la donna che ami; mai più nella tua casa; mai più cene con gli amici; mai più niente. Solo una piccola gabbia buia. E l'angoscia che tali pensieri provocano ti inchioda nell'isolamento totale, sovrastano ogni altro sentimento, ti eliminano dalla realtà. Sei solo, solo con questa spina ossessiva che buca lo stomaco e non puoi sfilare. E più cerchi di non pensare e più la spina entra prepotente. E' una sensazione profonda, penetrante, terribile che non può assolutamente essere frutto di una combinazione chimica cerebrale. Una macchina non ha paura. E sinceramente mi vado convincendo anch'io che Luca Fazi non abbia mai avuto paura perché egli è una macchina, è un perfetto computer". Lo stupore del pubblico ministero è palese. Paolo Giusto ha completamente rovesciato la sua linea difensiva, abbracciando quella di Francesco Vita per cui l'uomo ha un quid in più rispetto alla macchina, ha un'anima, una mente, uno spirito che agisce sul corpo. L'uomo non è come Fazi, pura materia.
Paolo aveva ripercorso alcuni momenti della propria esistenza e della vita dei genitori ricordando quei momenti di dolore o di grande affetto che possono derivare solo da un'anima sensibile e mai dalla combinazione di neuroni cerebrali.
"Non credo nemmeno" continua l'avvocato "che Luca Fazi sia capace di odio, per lo stesso motivo per cui non è stato capace di amare. Credo addirittura che ritenga intimamente giusta la sua condanna per il delitto commesso in quanto la società in tal modo agirebbe con lo scopo di eliminare un pericolo per la propria sopravvivenza. Agirebbe insomma per il mantenimento di quel famoso equilibrio dinamico, di cui parlano i cibernetici, e che caratterizza la personalità del mio cliente. Ebbene sì, Luca Fazi non ha una mente, non ha un'anima. E' solo un robot.
Ma è colpevole? Ha ucciso i genitori.
E quale sarebbe la sua colpa? E' una macchina, e come tale agisce in modo meccanico. Non ha una volontà che gli permette di scegliere, che gli concede la libertà di decidere se fare o non fare qualche cosa. Ogni sua azione è dettata da stimoli elettrici e chimici, dalla combinazione di atomi, neuroni, da cellule cerebrali. Il suo fine è la ricerca del benessere fisico ed ogni suo comportamento è necessariamente rivolto in quella direzione.
Se una banda di malviventi sequestrasse mio figlio, con tutta probabilità io baratterei la mia vita per la sua. Forse spinto dal frenetico amore per un figlio, o forse per pietà nei confronti di un ragazzino, o forse per spirito di eroismo. Ma potrei anche non offrirmi ai banditi e rinunciare a mio figlio per paura, oppure perché sono insensibile, o ancora per egoismo.
Comunque avrei una scelta, e finché non avrò preso una decisione nessuno potrà prevedere cosa farò.
Luca Fazi no! Egli sicuramente e prevedibilmente non scambierebbe mai la propria vita per un figlio perché tale azione lo porterebbe alla distruzione e ciò non rientra nel programma. Il sacrificio per l'altro non è nella sua natura che mira esclusivamente alla conquista del benessere personale. Suo malgrado non ha la possibilità di scegliere ed i suoi neuroni si combineranno necessariamente in un determinato modo. E' solo una macchina.
Sì, ha ucciso i genitori! Ma avrebbe potuto scegliere di non farlo?
Certamente rappresentavano un ostacolo alla realizzazione del proprio equilibrio dinamico, della propria sopravvivenza. E lui non avrebbe in alcun modo potuto non ucciderli. Non ha avuto nemmeno un piccolo dubbio né perplessità. Era tutto così naturale. Ed allora qual è la sua colpa? Non ha scelto di essere cattivo perché non sa e non potrà mai sapere ciò che è buono e ciò che è cattivo. E' così e basta.
Possiamo noi condannare un bambino perché nasce handicappato?
Possiamo noi condannare il terremoto o la pioggia perché provocano danni"?
Paolo Giusto interrompe. La sua arringa è finita.
Eva si alza in piedi e con coraggio applaude. Qualche secondo e scoppia un'ovazione generale.
Dopo sei giorni di ritiro rientra la corte.
"L'imputato Luca Fazi si alzi in piedi: la giuria ha così deliberato...".
E tutti si chiedevano: ma siamo noi veramente liberi di agire?
In che misura le nostre passioni, gli egoismi, la noia, la paura il desiderio, il piacere, la fame, la malattia condizionano le nostre scelte?
Quante volte anestetizziamo il nostro spirito, la nostra anima e diventiamo simili alle macchine?
E se veramente fossimo liberi quanto grande sarebbe la nostra colpa, la nostra scelta di delinquere?
F I N E

22 giu 2008

CAPITOLO 13

CAPITOLO 13: IL DIBATTITO FINALE

Il pubblico ministero Vita si alza in piedi, congeda i testimoni, e prende la parola. La giornata si è conclusa ma Vita vuole sottolineare ancora la sua teoria per cui Luca Fazi ha assassinato i genitori essendo un mostro, non un uomo perché privo di coscienza, ma una macchina, calcolatrice, spietata. Vita leggeva negli occhi dei giurati che le ipotesi filosofico-scientifiche di Popper ed Eccles erano state più che convincenti, non tanto per la loro logicità quanto per il rifiuto che esiste in noi stessi di sentirci paragonati solo ad un corpo, per la dignità che c'è in ognuno di noi. Ha capito che è il suo momento e vuole rincarare la dose: " c'è un'enorme differenza tra la persona umana e la macchina: l'uomo è fine in se stesso, la macchina no. Le macchine potranno essere preziose per la loro utilità o per la loro rarità, o al limite un certo esemplare potrà avere valore per la sua unicità storica. Ma a meno che non abbiano quello della rarità, le macchine divengono assolutamente prive di valore: se ce ne sono troppe di un certo tipo, siamo disposti a pagare per sbarazzarcene. Al contrario, teniamo in grande considerazione le vite umane, nonostante che il problema della sovrappopolazione sia il più grave dei problemi sociali del nostro tempo. Noi rispettiamo persino la vita di un assassino. Il dramma nasce se cadiamo nell'errore materialista di dar valore all'uomo solo come corpo, come macchina. Di qui lo scoppio di guerre. Di qui la crescente produzione di mezzi per la distruzione di massa, dalla droga alle armi. Di qui la barbarie comunista che annienta l'individuo in nome della società poiché considera l'uomo solo un numero, un mezzo di lavoro, una cosa senza diritti, identico ad un altro, proprio come una macchina prodotta in serie. E dunque ecco come si giustificano le stragi, i crimini civili, i lager nei regimi comunisti la cui matrice culturale, ricordiamolo, è il materialismo. Di qui Luca Fazi che non vede alcuna umanità nei suoi genitori e li ammazza solo perché ostacolo al raggiungimento del proprio piacere o, come lo chiamano i materialisti, equilibrio dinamico. Di qui la forte inflazione della vita umana".
L'opinione pubblica ed anche la giuria con tutta probabilità si stavano orientando a sposare l'ipotesi che in realtà Luca Fazi non fosse altro che una macchina, spinto ad agire solo per il mantenimento del proprio equilibrio dinamico. La ricostruzione più credibile: i genitori gli hanno impedito la realizzazione del suo programma genetico ed egli, senza alcuna remora etica, psicologica o religiosa li ha fatti fuori eliminando così un ostacolo al suo cammino.
Paolo Giusto per tutta la seduta mattutina cercava, frugando tra i visi degli spettatori accorsi numerosi anche quel giorno, la misteriosa ragazza bionda ma non la trovava.
L'aula è ormai vuota.
Il pubblico ha lasciato solo l'eco del brusio che aveva accompagnato la testimonianza di Eccles.
Paolo è solo con i suoi pensieri.
Non può crederci che qualcuno abbia scoperto tutta la verità.
Quelle lettere, quei messaggi mirati, possono avere solo un significato. Ma come è possibile che qualcun altro lo sappia.
"Forse mi sbaglio. Forse è qualche maniaco che si diverte". I dubbi lo tormentano.
Paolo è immobilizzato su quella sedia. Non riesce ad alzarsi.
Una voce lo scuote. " Mister Giusto, vorrei avere l'onore di cenare con lei. Diciamo questa sera alle dieci al ristorante La Scala, a Trastevere".
L'avvocato alza gli occhi.
Gli appare un omino piccolo, paffutello, con occhiali spessi un dito, elegantissimo, sui settant'anni.
"Ma la sua voce io la conosco" esplode Paolo alzandosi di scatto.
Già, quell'italiano strano che lo aveva svegliato l'altra mattina e gli aveva ricordato di fare visita al cimitero.
"E' lei che mi ha parlato per tel..."
"A questa sera" lo blocca l'omino allontanandosi.
Paolo lo insegue a distanza senza farsi notare.
Attraversano i lunghi corridoi del palazzo di giustizia.
Davanti al portone centrale c'è una Mercedes bianca. L'omino sale a bordo e parte. Targa: CD (corpo diplomatico).
Paolo dalla sua autovettura telefona alla moglie: "Eva non torno a cena, ho del lavoro arretrato che devo finire prima di domani".
Ad Eva questa sembra l'ennesima scusa di Paolo per nascondere qualche cosa di veramente grave.
"Non preoccuparti, fai con comodo, anch'io non ci sarò perchè ho il turno di notte in ospedale" lo tranquillizza Eva che non vuole assolutamente che Paolo sospetti dei suoi dubbi.
Alle dieci in punto l'avvocato si presenta davanti al piccolo portoncino del ristorante La Scala, nascosto tra i labirintici vicoli di Trastevere.
Entra.
Si guarda intorno ma non scorge la sagoma dell'omino dall'accento straniero.
Gli va incontro un cameriere.
"Il signor Giusto"? domanda con molta eleganza.
"Sono io".
"Prego, da questa parte. La stanno aspettando":
In un angolino molto intimo del locale, sorseggiando un aperitivo, c'è lei: la bionda mozzafiato.
"Buonasera mister Giusto, finalmente ci conosciamo. Mi chiamo Barbara".
Paolo rimane senza parole.
"Veramente mi aspettavo di incontrare un'altra persona" inizia poi timidamente.
"I signori ordinano qualche cosa"? si ripresenta il cameriere.
"Il piatto del giorno, grazie".
"Bene, veniamo a noi" comincia Barbara con tutta la sua sensualità."
"Forse è arrivato il momento in cui lei sappia il perchè degli avvertimenti di questi giorni, anche se con tutta probabilità avrà già capito. Non le sembra strano che proprio lei difenda Luca Fazi per quel terribile doppio omicidio? A volte la vita ed il destino sono veramente ironici".
A Paolo si gela il sangue. Il suo terribile sospetto ora è certezza. Questa donna sa qualche cosa che non dovrebbe sapere.
Che nessuno deve sapere.
"Io so il suo nome ma non so nè chi è lei nè chi è quell'uomo che mi ha invitato. Per chi lavorate"?
"Io personalmente" riprende Barbara "lavoro nell'ambasciata americana qui a Roma. Mister Barnes, questo è il nome dell'uomo che l'ha contattata, è il vice direttore del reclutamento per la difesa militare degli Stati Uniti. E' un funzionario della CIA".
"E che cosa volete da me"?
"Scagionare Luca Fazi potrebbe essere molto pericoloso perchè...".
Le parole di Barbara vengono interrotte bruscamente.
"Sei solo un bastardo bugiardo e traditore. E' questo il tuo lavoro arretrato? Mi fai schifo"! Davanti a Barbara e Paolo c'è Eva.
Già, Eva ha seguito il marito e lo aveva sorpreso in quel locale con la bionda, a cena a lume di candela.
E' finita!
"Eva aspetta, aspetta"! Paolo rincorre sua moglie cercando di spiegare l'equivoco.
"Lasciami stare. Torna da quella troia". Eva non vuole sentire ragioni, è fuori di sè.
"Addio"! Sbatte lo sportello e parte a tutto gas.
Paolo è lì fuori, solo, abbandonato dalla moglie.
Gli fa compagnia solo la disperata certezza che qualcuno sia venuto a conoscenza di quel grande segreto.
Torna dentro. Non c'è più nessuno.
"Dove è andata quella ragazza che era al tavolo con me"? chiede Paolo.
Sembra impazzito.
"Non lo so signore, credo sia andata via. La cena è quasi pronta".
"La cena? ma ti sembra il momento di cenare"?
Paolo prende la giacca ed esce dal locale.
Si dimena tra quegli stretti vicoli come un leone in gabbia.
"O Dio che faccio? A chi mi posso rivolgere? Che cosa vogliono da me? Vado alla polizia? No è assurdo. E che cosa gli racconterei? E poi se anche mi dovessero credere si saprebbe tutto. Sono finito, sono finito. Eva, anche tu mi hai lasciato. O Dio che faccio, che faccio"?
Un'illuminazione. Alfonso Sghettini.
Sì, Alfonso Sghettini, quel giornalista del Corriere, intimo amico di Roberto e Maria Fazi che li aveva introdotti nella Genesis e che poi aveva rivelato la vera natura di Luca Fazi.
"Sì Alfonso Sghettini. Lui è in stretto contatto con tutti i diplomatici americani e soprattutto con la ditta Genesis. Sono sicuro che il mistero è tutto lì. Andrò da Sghettini".
Sogni terribili naturalmente hanno accompagnato la breve nottata di Paolo Giusto: la mamma gli portava su di un vassoio insanguinato decine di lettere rosse e tutte con il medesimo messaggio: perchè lo hai fatto?
La mattina seguente Paolo si reca nella sede del Corriere.
"Buongiorno, sono l'avvocato Giusto. Vorrei parlare con Alfonso Sghettini".
"Il dottor Sghettini non sarà qui prima di mezzogiorno. Se vuole può ripassare più tardi, altrimenti lascerò un messaggio"gli risponde l'usciere di servizio.
"Ripasserò".
Ore interminabili d'attesa.
Quella mattina Paolo si sentiva veramente solo su quelle strade affollatissime del centro di Roma. Tutte quelle persone che camminavano freneticamente sembravano automi, macchine.
Nessuno poteva intuire il dramma del suo cuore.
Si ferma davanti ad una cabina telefonica. Compone il numero.
"Pronto Eva? Sono Paolo, ho bisogno di parlarti".
"Mi dispiace ma ormai è troppo tardi". Freddamente Eva gli sbatte il telefono in faccia.
A mezzogiorno finalmente Paolo incontra Alfonso Sghettini e gli racconta di quello strano incontro con la bionda e con Barnes.
"Allora il mio non è solo un sospetto" commenta il giornalista.
"Come? Si spieghi meglio" lo interrompe ansioso Paolo.
"Sì" riprende Sghettini "lo sospettavo da tempo. Esiste un settore deviato della CIA che lavora alle dipendenze di James Bruke, il direttore della ditta Genesis, il padre scienziato di Luca Fazi. Lo avevo sospettato da quegli strani metodi educativi con cui gli psicologi della Genesis hanno formato Luca.
A mio avviso le cose stanno così: Bruke, appoggiato da alcuni importanti membri del servizio segreto americano, ha puntato tutte le risorse della Genesis sull'uomo artificiale, ben sapendo di poter controllare il comportamento di un tale individuo".
"A che scopo"? lo interrompe sempre più preoccupato Paolo Giusto.
"Per verificare la possibilità, in un futuro imminente, di costituire un esercito formato da questi uomini. Pensi solo un momento che razza di arma potentissima sarebbe. Individui perfetti, fisicamente dotati, con un cervello più veloce del normale e più potente del nostro. Uomini che non sanno nemmeno che cosa sia il pericolo. Che non hanno paura del dolore. Che non temono la morte. Che possono essere convinti facilmente su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato perchè essi non hanno alcuna capacità di discernere leggi morali. Uomini a cui non da fastidio uccidere, perchè non hanno la coscienza della morte. Sono uomini che come Fazi non si fermano nemmeno di fronte all'amore dei genitori poichè non sanno che cosa è l'amore.
Sono macchine da guerra perfette, controllabili al cento per cento perchè agiscono solo per il mantenimento del proprio equilibrio dinamico e cioè solo per la loro conservazione fisica. Dunque è sufficiente che l'educatore si impegni a formare quest'uomo artificiale in modo che impari che la propria autoconservazione è legata agli ordini di alcune persone per avere nelle proprie mani un'arma micidiale".
"E che cosa c'entrano Barbara e mister Barnes. E che cosa vogliono da me"?
Si è aperto davanti agli occhi di Paolo uno scenario spaventoso al quale non aveva mai pensato. Ma soprattutto era inchiodato dalla paura che qualcuno fosse a conoscenza del suo segreto.
"Con tutta probabilità" continua Alfonso Sghettini "anche la CIA sospetta di questo progetto da parte di Bruke ma non può intervenire apertamente per diversi motivi. In primo luogo uno scandalo pubblico diffamerebbe l'intero apparato dei servizi segreti americani e ciò sarebbe pericolosissimo innanzitutto per il Presidente. In secondo luogo agire direttamente vorrebbe dire chiudere la Genesis mandando a monte l'intero apparato di ricerca e tantissimi milioni di dollari investiti. Terzo, probabilmente non hanno prove a sufficienza per incriminare Bruke oppure vogliono lasciarlo libero cercando di scoprire le sue complicità".
"Sì, ma io che cosa c'entro in tutto questo"? riprende ancora Paolo Giusto.
"Io credo" ipotizza il giornalista "che loro vogliano solo un verdetto di condanna contro Luca Fazi perchè ciò implicherebbe una condanna agli esperimenti azzardati di Bruke e dunque un personale fallimento. In questo modo avrebbero l'opportunità legittima ed insospettabile di licenziare il direttore dalla Genesis, allontanarlo ma senza scoprirsi.
Con tutta probabilità avranno in mano qualche cosa per ricattare lei affinchè li aiuti nel loro progetto. Forse non lo sa ma la CIA ha trovato nel ricatto la sua arma migliore".
Queste ultime parole sono proprio quelle che non voleva mai sentirsi dire. Fino all'ultimo Paolo Giusto aveva sperato che ci fosse un'altra spiegazione a tutto questo mistero e che il suo segreto non sarebbe mai stato violato.

CAPITOLO 12

CAPITOLO 12: LA MENTE AUTOCOSCIENTE


LUNEDI' MATTINA. AULA DEL TRIBUNALE.
Jhonn Cerew Eccles, premio Nobel per la neurologia, si avvicina al banco dei testimoni, non giura di dire tutta la verità ma promette di dare un contributo nel dibattito in corso.
"Si sbaglia chi afferma che l'uomo agisce spinto dagli impulsi chimici prodotti nel cervello". Le ipotesi medico-filosofiche di Eccles sostengono, come la giuria ben sa, le teorie precedentemente esposte da Popper.
Eccles riprende: "non è il cervello la fonte del pensiero e della vita, ma la mente, che è un quid di immateriale, superiore al cervello. Il cervello è solo il mezzo di comunicazione tra la mente ed il corpo. Le esperienze della mente autocosciente sono in rapporto con eventi neurali che si verificano nella massa grigia che abbiamo in testa, in quanto esiste un rapporto di interazione tra mente e cervello che dà luogo ad un certo grado di corrispondenza, ma non ad una identità.
"Come può affermare queste cose con tanta sicurezza"? gli domanda Paolo Giusto.
"Nell'azione volontaria ad esempio. Quando noi evochiamo eventi cerebrali come richiamare un ricordo, esprimere un concetto, fissare una frase. Quello sforzo, quel lavoro è fatto dalla mente. Come noi spingiamo un certo pulsante piuttosto che un altro nel computer a seconda dell'operazione che dobbiamo svolgere, così la mente, l'Io, agisce sul cervello ed è quindi dominante su quest'ultimo. E' la mente che sceglie, a seconda dell'interesse che è identificabile con ciò che chiamiamo attenzione.
Ma la mente ha anche un'altra fondamentale funzione che ci permette di essere realmente uomini: sintetizza ed unifica le varie esperienze neurali che avvengono nel cervello attraverso i sensi.
Pensate a quanti dati immettiamo ogni secondo nel cervello. E pensate che questi dati vengono lavorati in parti differenti del cervello stesso. Chi collegherà tutti questi dati? Come verranno integrati tra di loro? Chi sceglierà quali dati ritenere e quali scartare, poiché sarebbe impossibile trattenere tutto? E' la mente autocosciente. Quando si dice che una persona è matura significa che quella persona ha sintetizzato ed unificato in se stessa tutto quello che ha appreso nel corso della vita. Altrimenti un individuo sarebbe milioni di individui separati tanti quante sono le esperienze apprese. Ma non è così perché esiste la mente che sintetizza, aggrega, seleziona ed unifica le innumerevoli attività neurali del cervello. L'unità dell'esperienza deriva non da una sintesi neurofisiologica ma per il carattere di integrazione della mente autocosciente. Anzi suppongo che la mente si sia sviluppata in primo luogo proprio per costituire questa unità dell'io in tutte le sue esperienze ed azioni coscienti".
"Può fare qualche altro esempio per meglio chiarire la sua posizione"?
"Quando si compie un movimento volontario, la mente autocosciente esercita la sua azione su di un'ampia area della corteccia cerebrale i cui neuroni danno vita ad un complesso processo di modulazione, di trasmissione verso le cellule piramidali motorie, cioè quelle cellule del cervello addette a comandare il movimento. Dunque la mente autocosciente non esercita un'influenza diretta sulle cellule motorie. Così si spiega il ritardo di circa 0.8 secondi, tempo che intercorre tra il comando della mente e la trasmissione del messaggio agli arti per il movimento. Presumibilmente questo tempo è impiegato per stabilire, nei milioni di neuroni della corteccia cerebrale, gli schemi spazio-temporali richiesti. Ciò implica anche che l'azione della mente autocosciente sul cervello non si esercita in modo costrittivo, bensì in una forma più ipotetica e blanda".
"Lei, professor Eccles, parla sempre di mente autocosciente. Ma cosa significa avere coscienza di sé"?
"Ogni organismo" spiega Eccles "è un programma, ma solo l'uomo ha la consapevolezza di una parte di tale programma e la capacità o la possibilità di criticarlo. Ricorro ancora una volta ad un esempio: se esploriamo un ambiente , un luogo sconosciuto, che è un'azione programmata in tutti gli esseri viventi, solo l'uomo è cosciente dei rischi che corre nel farlo e sa che potrebbe anche morire. E' dunque consapevole sia del pericolo che della morte. L'animale al contrario si avventura e affronterà gli stessi rischi dell'uomo ma senza rendersene conto. Ancora un altro esempio. Una bestia ha un carattere che può essere virtuoso o meno. Ma sicuramente non potrà sforzarsi di diventare migliore, cercando, caso mai, di dominare le sue paure, la sua pigrizia, il suo egoismo, e di superare la sua mancanza di autocontrollo. La coscienza è quindi una prerogativa dell'uomo.
La morte. Pensiamo alla morte. Il pericolo della morte. L'inevitabilità della morte. Se riflettiamo sulla morte abbiamo sicuramente il massimo grado di autocoscienza. Uno dei problemi cruciali che ogni uomo si trova ad affrontare nel corso della sua vita è il tentativo di riconciliarsi con l'idea della inevitabile fine della morte. L'uomo muore come gli altri animali, ma l'inevitabilità della morte affligge solo l'uomo perché solo l'uomo, nel corso del suo sviluppo, ha acquisito l'autocoscienza".
L'avvocato Paolo Giusto meditava. Ancora una volta era tornato con la mente (o col cervello?) a quell'angoscioso periodo della morte del fratello che aveva così cambiato il suo modo di essere, che lo aveva fatto fermare. E probabilmente si chiedeva se quella macchina che stava difendendo avesse mai pensato alla morte.
"Parliamo ancora della morte" continua Giusto. "Il suo collega Popper afferma che la morte contribuisce anche a rivalutare la vita. Insomma l'inevitabilità di scomparire dalla Terra ha un valore positivo in quanto accresce il valore della vita stessa che si svaluterebbe se fosse destinata a proseguire per sempre. Popper in sostanza sostiene che è proprio la precarietà della vita, il fatto che dobbiamo affrontarne la fine, ad aumentare il suo valore e perfino quell'estrema sofferenza della morte. Anzi voglio leggere una breve lettera che Popper scrisse ad un suo carissimo amico a proposito di tali riflessioni. Leggo testualmente: - prima di tutto non aspiro alla sopravvivenza per l'eternità, anzi, al contrario, l'idea di andare avanti per sempre mi sembra assolutamente spaventosa. Chiunque sia dotato di sufficiente immaginazione per avere a che fare con l'idea di infinito penso sarebbe d'accordo con me. D'altra parte ho la sensazione che persino la morte sia un elemento da valutare positivamente nella vita. Penso che dovremmo capire che è la certezza pratica della morte a dare un grosso contributo a tutto ciò che dà valore alla nostra vita e specialmente alla vita di un' altra persona. Penso che non potremmo dare veramente valore alla vita se essa fosse destinata a proseguire in eterno -. Bene, accogliendo ciò che dice il suo collega interazionista, sostenitore dell'esistenza della mente spirituale, la vita ha una fine che coincide esattamente con la morte del corpo, dunque della materia, dunque del cervello. Torniamo così alla teoria materialista per la quale la vita è la vita del corpo in quanto l'uomo è solo corpo, dunque nulla affatto diverso dall'imputato Luca Fazi. Lei dottor Eccles che cosa ne pensa"?
"Io ritengo che sia un mistero fondamentale nella mia esistenza che trascende ogni spiegazione biologica dello sviluppo del mio corpo e dunque del mio cervello con la loro eredità genetica e la loro origine evolutiva. E che le cose stiano così io lo devo ritenere similmente per ogni essere umano. Non posso dare una spiegazione scientifica della mia origine: mi sono svegliato alla vita, per così dire, per trovare me stesso esistente come un io incarnato in questo corpo ed in questo cervello. E non posso dare una spiegazione scientifica sul fatto che debbo inevitabilmente pensare che questo dono magnifico di un'esistenza cosciente abbia un futuro, abbia possibilità di un'altra esistenza in condizioni diverse inimmaginabili. E' questione di fede. Insomma non condivido quanto afferma Popper circa la morte. Sono fermamente convinto che l'io più profondo sopravvive alla morte del cervello. Se permettete vorrei leggere anch'io una lettera che mi inviò lo scorso anno il neuroscienziato e neurochirurgo Wilder Penfield: - in ogni individuo la base fisica della mente è l'azione cerebrale; essa accompagna l'attività del suo spirito, ma lo spirito è libero ed è capace di un certo grado di iniziativa. Lo spirito è l'uomo come noi lo conosciamo. Egli deve avere continuità nei periodi di sonno e di coma. Dunque io assumo che questo spirito debba continuare in qualche modo dopo la morte. Non posso dubitare che molti si mettano in contatto con Dio e siano guidati da uno spirito superiore. Queste però sono convinzioni personali che ogni uomo deve scegliersi. Se egli avesse solo un cervello e non una mente questa difficile decisione non sarebbe sua -.
E' la morte allora che porta l'uomo a raggiungere il massimo grado di autocoscienza la cui nascita costituisce l'avvento di una trascendenza evolutiva, cioè di un fatto imprevisto e altamente improbabile, forse unico nell'universo. Una volta sorta l'autocoscienza, al mondo umano viene impresso un rapido sviluppo: fanno comparsa nella storia i valori etici, si inizia il processo dell'educazione. Insomma gli individui sviluppano se stessi. Storia dell'io e storia del pensiero interagiscono".

20 giu 2008

CAPITOLO 11

CAPITOLO 11: TRE MONDI

Siede sul banco dei testimoni Karl Popper, ritenuto il più grande filosofo della scienza del ventesimo secolo.
Popper con il collega Eccles, un neurologo e filosofo tedesco, hanno elaborato un'importante teoria sul rapporto tra mente e cervello, tra materia e spirito, tra anima e corpo che avrebbe potuto offrire un grosso contributo alla soluzione del caso.
"Che cosa è l'uomo, e che differenza c'è tra un individuo e la macchina"? Con questa domanda il pubblico ministero Francesco Vita vuole far parlare liberamente Popper.
"Esistono tre mondi che comprendono tutta la realtà delle cose" in tal modo Popper vuole chiarire il suo punto di vista. "Anzitutto c'è il mondo delle cose fisiche: il tavolo, il corpo umano, le case, le montagne eccetera; lo chiameremo Mondo 1. In secondo luogo c'è il mondo degli stati mentali, delle disposizioni psicologiche: la paura, l'euforia, la noia, la meraviglia e così via; lo chiameremo Mondo 2. Ma c'è anche un terzo mondo, quello dei contenuti di pensiero: racconti, miti esplicativi, teorie, problemi scientifici, istituzioni sociali, opere d'arte, eccetera; lo chiameremo Mondo 3. Insomma esistono tre mondi che corrispondono rispettivamente alle cose, all'individuo con il suo corpo e la sua psiche ed ai pensieri, a ciò che è contenuto nel cervello. Premesso che sono d'accordo con i materialisti che sostengono l'esistenza e la realtà del Mondo 1, sono convinto che anche ciò che interagisce con esso debba per forza esistere, essere reale anche se impercettibile. Dunque anche l' uomo esiste. E' proprio nell'interazione, nella comunicazione attiva, nel collegamento continuo dei tre mondi la soluzione del problema mente-corpo. E i contenuti di pensiero, oggetto del Mondo 3, benché non materiali hanno la capacità di intervenire sulla materia e trasformarla.
Un esempio pratico a dimostrazione di quanto affermo ve lo fornisco riferendomi alla produzione di una formula scientifica: normalmente lo scienziato che produce qualche cosa parte da un problema: egli cercherà innanzitutto di capire il problema, di rendersi conto di cosa si tratta, e di solito questo è un compito intellettuale che richiede tempo, un tentativo del Mondo 2 di afferrare un oggetto del Mondo 3. Naturalmente nel compiere questo sforzo utilizzerà dei libri (o altri strumenti scientifici materiali del Mondo 1). Può darsi però che il suo problema non sia enunciato sui libri; ma piuttosto che lo scopra trovando una difficoltà nelle teorie già espresse. Ciò comporta uno sforzo creativo. Solo dopo queste operazioni di carattere intensamente intellettuale qualcuno scoprirà una possibile applicazione tecnica di vasta portata che agisce sul mondo 1 cioè sulla natura".
"Come può essere afferrato un oggetto del Mondo 3? Come possiamo arrivare a conoscere i contenuti del pensiero"? Con tale questione Vita voleva sicuramente dare l'opportunità a Popper di approfondire la sua teoria dell'interazione.
"La comprensione degli oggetti del Mondo 3" riprende Popper "è frutto di un intervento attivo del soggetto, dell'uomo. Per conoscere insomma non basta ascoltare oppure osservare, Bisogna produrre o riprodurre la cosa che si vuol conoscere, e in tal senso l'intervento conoscitivo del soggetto è attivo. Una teoria viene capita solo nel momento in cui viene prodotta o ricreata. Quando noi vediamo un oggetto è come se lo dipingessimo o disegnassimo nella nostra mente piuttosto che scattare fotografie a casaccio. Non è dunque il solo intervento fisico e chimico del cervello che ci offre la possibilità di conoscere ma è bensì l'atto mentale, ultra cerebrale, che lavorando nella riproduzione dell'oggetto ce lo presenta nella sua essenza".
"Ricapitolando" interviene ancora il pubblico ministero " quali sono gli argomenti che giustificano l'interazione dei tre mondi"?
Popper sorseggia un bicchiere d'acqua e continua: "Gli argomenti sono tre. L'interferenza del Mondo 3 con il Mondo 1, il processo per cui Mondo 3 e Mondo 2 interagiscono e dunque l'ammissione della realtà dei mondi 2 e 3 sono tesi del primo argomento. Mi spiego: gli oggetti del Mondo 3 sono astratti ma non di meno sono reali, essendo degli strumenti potenti per cambiare il Mondo 1. Ma gli oggetti del Mondo 3 hanno un effetto sul Mondo 1 solo attraverso l'intervento umano, l'intervento dei loro artefici e dunque per mezzo del Mondo 2 che afferra gli oggetti del Mondo 3.
Il secondo argomento trova giustificazione nel processo di apprendimento: conoscere vuol dire afferrare, da parte dell'uomo, gli oggetti del pensiero. Avviene quindi un'interazione tra Mondo 2 e Mondo 3. Afferrare abbiamo detto che significa costruire, produrre. Dunque il Mondo 2, cioè la psiche dell'uomo, è attivo. La costruzione ed il confronto di ciò che si è appreso, attraverso la selezione critica, avvengono nell'uomo a livello conscio ed inconscio.
Il terzo argomento è connesso e collegato alla questione del linguaggio umano: io distinguo, in ogni individuo, un processo evolutivo genetico ed un processo evolutivo culturale. Al primo appartiene la capacità, anzi il bisogno di apprendere un linguaggio, al secondo appartiene invece l'apprendimento effettivo della lingua specifica: l'inglese, il latino, l'italiano il francese eccetera. Dall'interazione tra Mondo 1, cioè dalla possibilità genetica, e Mondo 3, la possibilità culturale, nasce l'apprendimento del linguaggio. L'apprendimento linguistico è quindi un processo in cui le tendenze geneticamente determinate, evolutesi per selezione naturale, arrivano in parte ad interagire con un processo cosciente di esplorazione e di apprendimento, basato sull'evoluzione culturale. In Luca Fazi invece l'evoluzione naturale è stata artificiale ed il processo cosciente di esplorazione non è stato altro che un immissione di dati, un input meccanico".
Secondo Popper insomma l'essere umano è anche un prodotto di se stesso, della sua impresa.
"Diventare un uomo nella pienezza delle sue prerogative" conclude il filosofo viennese "dipende da un processo di maturazione nel quale una parte enorme viene svolta dall'acquisizione del linguaggio. Si impara non solo a percepire e ad interpretare le proprie percezioni, ma anche ad essere una persona, ad essere un Io. Le percezioni non ci vengono date ma vengono fatte da noi, sono il risultato di un lavoro attivo".
Il dibattito acquistava sempre più toni solenni, filosofici, estremi. Di legale neanche un accenno. Che valore ha dunque la legge se un processo prescinde da essa? E' giusto indagare sulle responsabilità morali ed intellettive di un pregiudicato oppure ciò che solo deve contare è la violazione o meno del codice?
Sono questi forse i dubbi che assillano con sempre maggiore frequenza l'animo curioso dell'avvocato Paolo Giusto.
"L'udienza riprenderà lunedì prossimo". Il giudice congeda tutti e lascia l'aula.
"Francesco, vieni a prendere un caffè"? Paolo Giusto, nonostante l'opposizione di ruoli in quel processo conosceva da parecchi anni il pubblico ministero Francesco Vita e lo stimava profondamente.
Qualche battuta, un sorso di caffè e... di nuovo quella splendida ragazza bionda davanti alla vetrina del bar.
"Ma tu la conosci quella donna? chiede Paolo incuriosito a Francesco.
"Quale donna"?
"Quella là fuori, di fronte alla vetrina".
I due si girano ma non c'è più nessuno.
"Beh, non importa" riprende Paolo sempre più preoccupato "ci vediamo lunedì in aula.
"Ciao Paolo". Francesco e Paolo si allontanano verso le rispettive automobili.
L'avvocato prende le chiavi, ma in tasca c'è qualche cosa di strano. La tira fuori. Una busta rossa.
In fretta e furia la apre. Un altro messaggio: "non uccidere".
"Un altro comandamento. Non è possibile. Chi diavolo mi perseguita". Paolo era terrorizzato da questi strani fenomeni. "Che cosa vogliono dire con questi comandamenti: onora il padre e la madre e non uccidere? Ma che cosa vogliono da me"?
Decide comunque di non farne parola con nessuno, nemmeno con Eva.
Torna a casa.
Una tavola apparecchiata con tutto garbo, dei fiori coloratissimi e dal fresco profumo, grandi ostriche fresche e una bottiglia di Dom Perignon nel secchiello del ghiaccio. Eva coperta solo da un cortissimo baby-doll nero che lascia trasparire le forme provocanti del suo corpo ed una minuta e sensuale biancheria intima.
E' tanto tempo che Paolo non guarda più quella bella mogliettina con gli occhi eccitati e desiderosi di amare.
Una notte di passione fa dimenticare il processo, lettere rosse e strane bionde.
"Amore mio" gli sussurra dolcemente Eva prima di addormentarsi "domani è l'anniversario della morte di tua madre andremo al cimitero insieme. Questi giorni voglio stare sempre con te. Buonanotte".
" Buonanotte amore mio e grazie per questa splendida sorpresa. Ho passato una notte indimenticabile".
Ma anche quella per Paolo non sarà una notte riposante.
Un sogno stranissimo: i suoi genitori, Angela e Alberto, che piangevano disperati ed urlavano di non voler soffrire. E poi urlavano di non voler morire. Ma la bionda che lo seguiva rideva e lanciava in aria buste rosse. E poi tutti e tre indicavano minacciosi Paolo.
Il suono della sveglia pone fine a quel terribile incubo.
Poi subito una telefonata.
"Ma sono solo le sette e mezzo, chi può essere a quest'ora"? si chiede Eva ancora con gli occhi semichiusi.
"Non preoccuparti rispondo io".
"Pronto"?
Dall'altra parte una voce adulta in un italiano imperfetto: "ricordati di andare al cimitero, è l'anniversario della morte di tua madre".
"Pronto. Chi parla. Pronto, pronto. Hanno riagganciato".
"Paolo chi era al telefono"? domanda la moglie incuriosita.
"Credo che abbiano sbagliato numero".
"Come hanno sbagliato, e perchè sei così agitato" insiste con maggior sospetto Eva.
"Non sono agitato. Lasciami perdere" ribatte seccato Paolo.
"Paolo vieni qui. Che cosa mi nascondi. Non sono mica scema.
Credi che non mi sia accorta che da qualche giorno sei stranissimo. Ti infuri quando si parla di figli, ti incupisci se faccio accenno ai tuoi genitori. Poi quella bionda. Si può sapere chi è quella maledetta ragazza? E ancora, la lettera che ti ho consegnato. Cosa c'era scritto? Guardami negli occhi, dimmi la verità. Cosa c'è sotto? Non ce la faccio più". Eva scoppia a piangere disperata. Sente di stare perdendo irrimediabilmente il marito. Ma soprattutto è convinta che Paolo nasconda da anni un grande segreto.
Poi sbotta: "Paolo, dimmi se hai un figlio con quell'altra donna"!
Una fragorosa risata di Paolo riporta la situazione alla tranquillità, o almeno così sembra.
Come se nulla fosse successo i coniugi Giusto vanno al cimitero.
Paolo continua freneticamente a ripensare a quella strana telefonata. Ha un atroce sospetto ma lo caccia via con forza disperata. Poi pensa a qualche possibile connessione con il processo. Niente.
Scendono dall'automobile.
Si avviano verso la tomba di famiglia. Già, in quella tomba riposa ora tutta la famiglia di Paolo.
"Eva, prendi il vaso dei fiori che lo riempio di acqua alla fontana".
"Eccolo, ma...no! Non è possibile"!
"Ed ora che succede"?
"Succede che c'è un'altra lettera per te". Eva mostra al marito una busta rossa che era appoggiata sulla lapide dei genitori.
"O Dio nooo!! Non ce la faccio più. Ascolta aprila tu, io non ho niente da nascondere".
Il messaggio: "perchè proteggi il diverso? Ricordati che nessuno è perfetto. Fermati finchè sei in tempo. Firmato: i tuoi genitori".

CAPITOLO 10

CAPITOLO 10: LA SCUOLA AUSTRALIANA

MARTEDÌ' 13 MARZO ORE 9,00.
Ampio spazio aveva dedicato la stampa al commento dell'anomalo processo. Era giusto condannare o assolvere un uomo a prescindere dalle prove oggettive d'accusa? Il pubblico ministero assicurava che in realtà tutta questa disquisizione sulla vera natura di un uomo artificiale avrebbe offerto una chiave di interpretazione dei fatti necessaria per il proseguimento del processo giuridico.
"E' chiamato a deporre Kenneth J. W. Craik". Craik è uno scienziato filosofo della scuola australiana, promotore di nuovissime teorie cibernetiche e neurocibernetiche.
Ad un semplice e diretto interrogatorio della difesa il teste afferma che l'uomo agisce né più e né meno come un computer, una macchina di buon livello.
"Lei asserisce che ciascuna persona non è altro che una macchina" è iniziato il contro interrogatorio dell'accusa; "però un robot si comporta necessariamente come è stato programmato. Non ha facoltà di scelta. E chi conosce il robot sa già, prevede il suo comportamento. Non è la stessa cosa per gli uomini.
Ad esempio lei conosce perfettamente sua moglie, è sposato con lei da diciotto anni. Ma chi le assicura che domani la sua signora non perda la testa per un altro uomo, se ne innamori e fugga con lui"? Una fragorosa risata degli spettatori presenti interrompe l'ironico magistrato.
"Non si offenda professor Craik. Volevo solo dire che forse lei ha dimenticato il concetto di libero arbitrio per cui l'essere umano non è mosso da cause come una macchina, ma studia la situazione e sceglie di fare ciò che gli sembra meglio. Aggiungo anzi che a volte sceglie di fare solo ciò che gli pare e basta".
"Anche le macchine hanno il libero arbitrio" risponde deciso Craik.
"Si spieghi meglio".
"E' tutto fondato sul concetto di retroazione. La retroazione non è altro che un'azione conseguente ad uno stimolo esterno, imprevisto, non programmato. Ora non c'è più la macchina rigida che esegue operazioni programmate. Ora abbiamo la macchina con un fine, con uno scopo da perseguire. Lo scopo è quello di mantenere l'equilibrio dinamico rispetto al proprio ambiente e dunque è un adattamento all'ambiente. Una macchina cioè si comporta in modo da resistere ai perturbamenti esterni.
L'intelligenza artificiale consiste nello sfruttare la stessa energia esterna, causa del perturbamento, per ristabilire l'equilibrio. E ciò avviene in due fasi: l'accumulo di energia esterna e la sua liberazione controllata. Farò un esempio: se spingete qualcuno egli porterà avanti uno dei due piedi puntandolo sul pavimento per contrastare il perturbamento da voi causato. Nessuno si lascerà cadere in terra come un sacco di patate. Questo è equilibrio dinamico. Ed è così che agiscono anche gli uomini.
Pensateci bene. Le scelte che voi fate ogni giorno, dalle più semplici come l'acquisto di cibo, alle più complesse come sposarsi implicano sempre una ricerca per il raggiungimento di un benessere rispetto al luogo dove vivete o alla gente con cui siete in contatto. Il libero arbitrio dell'uomo e della macchina, che poi sono la stessa cosa, non è altro che adattamento all'ambiente rispetto agli stimoli esterni".
E' il turno del professor Turing, anch'egli della scuola australiana.
"Professor Turing è vero che pensare equivale a dire che una macchina ed un uomo compiono il cosiddetto gioco dell'imitazione"? La domanda dell'avvocato Paolo Giusto è mirata a confermare le tesi neurocibernetiche per dimostrare che il suo cliente Luca Fazi è del tutto uguale ad ogni individuo nonostante la sua natura artificiale e selezionata.
"Questo gioco" spiega Turing "viene giocato da tre persone: Un uomo (A), una donna (B) e l'interrogante (C), che può essere dell'uno o dell'altro sesso. C viene chiuso in una stanza separato dagli altri due. Scopo del gioco per l'interrogante C è quello di determinare quale delle altre due persone sia l'uomo e quale sia la donna. Egli le conosce con le etichette x ed y, e alla fine del gioco C darà la soluzione se x è A oppure B e viceversa. L'interrogante può fare qualsiasi tipo di domande mentre A può rispondere in modo ambiguo e ingannatore per sviare l'interrogante. B, al contrario, deve aiutarlo a scoprire la vera identità di x e y. Ebbene signori abbiamo quasi ultimato una macchina che prenderà il posto di A che riuscirà ad ingannare l'interrogante C rispondendo a domande non memorizzate, e quindi creando soluzioni e scegliendo liberamente".
"Ammesso, ma non ci credo, che ciò si potrà avverare" contesta prontamente Francesco Vita "la differenza tra l'uomo e la macchina consisterà nel fatto che l'uomo è autocosciente, nel senso che si rende conto di pensare, ha la consapevolezza di ragionare; la macchina no"!
"E come lo fa a dire? E' forse lei una macchina? Bisognerebbe essere una macchina per sapere con certezza se durante il gioco dell'imitazione ha saputo di pensare, se si è resa conto di ragionare".
Anche Paolo Giusto, di fronte a teorie così paradossali e precise insieme, viene assalito da forti perplessità. I suoi pensieri si riaffacciano a quel tragico periodo della morte del fratello Carlo:
"ma potrà mai una macchina soffrire in quel modo? sarà capace un computer di interrogarsi sulla morte ed essere turbato per questi pensieri? potrà capire che cosa è la vita"? I dubbi lo tormentano, forse non è più certo nemmeno dell'innocenza del suo cliente. Ma la legge ed il senso del dovere gli impediscono di pensare in questi termini. Deve continuare.
Anche Stefano e Daniela, una coppia di amici di vecchia data, lo esortano ad andare avanti, a non mollare.
Quella sera Paolo, Eva, Stefano e Daniela si sono ritrovati in una tipica pizzeria di Trastevere.
"Dobbiamo comunicarvi una grande notizia" esordisce Stefano con un calice di vino sollevato "tra sette mesi sarò padre. Io e Stefania stiamo per avere un bambino".
"Congratulazioni. Qui ci vuole dello champagne. Cameriere..." Eva non sta nella pelle. La notizia che la sua più cara amica sta per diventare mamma la riempie di gioia.
"Lo chiameremo Filiberto se sarà un maschietto e Alice se invece verrà al mondo una femminuccia. Riempirà la nostra vita, le nostre giornate e poi siamo già pronti a dargli, o a darle, un fratellino, o una sorellina".
L'unico che non sembra entusiasta della notizia è proprio Paolo, con la mente ancora al processo, o distratto, chissà, da una ragazza mozzafiato entrata sola in quel locale così nascosto tra i vicoli di Roma.
"Ma quella io l'ho già vista in aula" inizia a ricordare Paolo.
"Già, è sempre seduta in terza fila, proprio dietro Francesco Vita".
"Dai Paolo brinda con noi" lo richiama l'amico.
"Bene, auguri sinceri per il miracolo di una vita che nasce".
La serata trascorre intima e piacevole ma è giunta l'ora di tornare a casa.
Paolo ed Eva si avviano verso la macchina. Un'ombra li segue.
Partono con il loro BMW. Una Mercedes siglata CD (corpo diplomatico) è sempre dietro.
"Paolo ho visto come guardavi quella bionda che è entrata in pizzeria" attacca Eva stizzita.
"Forse" continua un po' seccata "ti sei stufato di me, sei alla ricerca di nuove emozioni. Oppure hai voglia solo di farti una scopata con una baldracca qualunque. Beh se è così fai pure e fallo in fretta ma smettila di essere sempre così freddo, distaccato e distante".
"Ma che diavolo vai dicendo, io non mi sono stancato di te nè voglio altre donne. Quella ragazza la guardavo perchè mi sembrava di averla già vista in Tribunale"
"Sì, in Tribunale" riprende ironicamente Eva "oppure in qualche bordello di strada. Allora se è come dici tu, che mi ami, non vuoi altre ragazze, credi nella famiglia e tante altre belle parole, mi spieghi perchè da quattro anni che siamo sposati non vuoi ancora avere figli? Lo capisci quanto sono importanti i figli. E' possibile che tu non abbia il desiderio di avere una creatura tua"?
"Ancora questi figli. Non ne posso più. Ma lo sai che i figli uccidono i genitori? Hai visto che cosa ha fatto Luca Fazi"?
"Ma Luca Fazi non è un uomo, è solo una stupida macchina" riprende tra le lacrime Eva.
"Già, forse hai ragione tu" la consola Paolo con una carezza.
La Mercedes è sempre dietro.
E se ne accorgono anche Paolo ed Eva. Giù sull'acceleratore e via verso casa.
La notte per Paolo non trascorre tranquilla.
Sogna quella ragazza, la Mercedes, la lettera rossa.

18 giu 2008

CAPITOLO 9

CAPITOLO 9: IL COMPORTAMENTISMO

"Dotta e sapiente la premessa del giudice Vita" incalza Paolo Giusto "ma errata nella sostanza. Noi dimostreremo che Paolo Fazi è un normalissimo essere umano ed agisce come qualsiasi altra persona comune. Mente? Corpo? Non ho mai visto una mente passeggiare per strada. L'uomo è solo ciò che si vede. Eccolo!" L'avvocato si volta e indica di scatto il suo cliente. "Lì c'è un uomo" continua "ed è innocente. Qualche esempio vorrei porlo anch'io. Cosa vuol dire che un individuo è intelligente? Io credo che equivalga ad affermare il suo alto coefficiente di successo nel risolvere problemi pratici in maniera rapida ed ottimale. L'intelligenza dunque non è uno stato mentale, non è la mente essenza spirituale, ma è solo un comportamento , un'azione, un fatto che si compie. Giudicare un uomo arrabbiato significa vedere le sue reazioni, i suoi comportamenti, come lanciare sassi, gridare, eccetera. Si dice: gli uomini sono addolorati. Ciò non significa che esistano degli oggetti chiamati dolori, palpabili e visibili. Quell'uomo soffre! oppure quell'uomo è contento! Ma dove sono le sostanze, i corpi detti sofferenza e contentezza? Tutto al più posso dire che quella persona piange o ride. In breve, signori giurati, la mente non esiste e nemmeno esistono quelle astrazioni mentali come i sentimenti, i ricordi, le emozioni, i pensieri. Un uomo è tale per come si comporta ed è solo questo che noi dobbiamo giudicare. L'uomo è corpo, è materia, e dal proprio corpo nasce la causa del suo comportamento. E guardate che bel corpo che ha il nostro Fazi. Comunque se è vero che la causa di ogni azione, come dimostreremo, deriva dal corpo, Luca Fazi è come qualsiasi altra persona, semmai migliore visto che la sua struttura è il frutto di una selezionata scelta di geni. Altro che mostro"!
Una giornata durissima, un avversario assai fermo e deciso, chiassosi ed insistenti giornalisti, hanno distrutto tutti i buoni propositi di Paolo di raggiungere gli amici quella sera per festeggiare l'importante incarico ricevuto nel processo del secolo.
Dalla macchina una breve telefonata a sua moglie Eva per annunciare il cambio di programma, la cravatta sfilata e lanciata sui sedili posteriori e il sogno di sprofondare nel vecchio divano di casa sonnecchiando davanti a un film.
Un breve squillo al campanello ma Eva non è ancora tornata. Le solite due mandate di chiave.
"Hai trovato la busta rossa"? E' scritto su di un foglio di carta scivolato sul pavimento dell'ingresso.
"E che diavolo sarà mai questa busta rossa"? Senza troppo preoccuparsi di chi avesse scritto quell'insolito messaggio, o forse pensando ad appunti personali della moglie, Paolo corre in salotto per tuffarsi sulla sospirata poltrona.
Un opuscolo pubblicitario delle montagne dolomitiche valdostane, riportano Paolo ai meravigliosi giorni trascorsi con i genitori e con suo fratello Carlo su quelle splendide vette bianchissime, quando si gettavano come matti nella neve e sembravano bambini che per la prima volta aprivano gli occhi al mondo. Le fantastiche sciate tra gli abeti, i piccoli scoiattoli che a fatica e arrancando seguivano le loro risalite in seggiovia, le fiaccolate notturne per salutare l'anno nuovo.
"Paolo sei già tornato"? La voce di Eva fa sobbalzare l'avvocato, assopito tra quei fantastici ricordi.
Eva è una ragazza estremamente attraente, con un corpo atletico e provocante, grandi occhi scuri esaltati da finissimi capelli neri. Da due anni lavora come medico specializzando nel reparto ginecologico dell'ospedale San Camillo di Roma.
Paolo ed Eva si abbracciano a lungo. Lui la segue in camera da letto per ammirare quella splendida creatura mentre con naturale sensualità si spoglia gettando tra le braccia del marito le sue piccole mutandine bianche che lo facevano eccitare terribilmente.
Poi una rapida doccia per mandar via l'odore d'ospedale e la stanchezza di una dura giornata di lavoro trascorsa tra i malati. Una cenetta preparata velocemente ma con la cura e la raffinatezza di una donna che vuole sentirsi moglie e non solo amante del proprio uomo.
Paolo racconta intanto gli sviluppi di quella prima giornata processuale.
"E mentre tu eri alle prese con un uomo nato in provetta" lo interrompe Eva "noi abbiamo aiutato due mamme a mettere alla luce i loro splendidi figlioli. Se avessi visto i loro visi, stanchi ma sereni, felici, puri, quasi orgogliosi delle loro madri, legati da quel cordone ombelicale e da una catena d'amore che mai nessuno potrà tagliare".
"Basta, sono solo fesserie. I figli portano solamente un sacco di preoccupazioni. Nascono nel dolore e muoiono nel dolore". La reazione di Paolo è brusca e inaspettata, quasi violenta.
"Paolo ma che hai? Ho detto qualche cosa che ti ha sconvolto"?
"No, scusa. Forse sono un troppo stanco. E' meglio se vado a dormire, domani avrò una giornata infernale".
"Aspetta solo un attimo. Quasi dimenticavo". Eva afferra la borsa, cerca qualche cosa. Tira fuori una busta rossa.
"Era nella cassetta delle lettere. Non c'è scritto l'indirizzo e neanche il cognome. Solo il tuo nome".
"La busta rossa. Allora quel messaggio trovato sotto la porta era rivolto proprio a me e non era un appunto personale di Eva". Il cervello di Paolo ricomincia a lavorare: "forse riguarda il processo. E allora perchè questo insolito modo di consegna. O forse riguarda me?
"Grazie amore" la liquida Paolo prendendo la lettera e dirigendosi verso la camera da letto.
Sicuro di essere solo la apre. Solo un semplice messaggio: "onora il padre e la madre".

CAPITOLO 8

CAPITOLO 8: UN NODO DEL MONDO

"Un Weltknoten: un nodo del mondo" esordisce con tutta calma Francesco Vita. "Così nella traduzione di Herbert Feigl, Schopenauer, importante filosofo del romanticismo tedesco, definisce il rapporto tra la mente e il corpo. Pensiamo alle azioni semplici, quotidiane, che meccanicamente ripetiamo con distrazione, come mangiare, bere, oppure dormire o lavarsi la mattina. Ebbene, nello svolgimento di queste azioni noi usiamo le mani per portare, ad esempio, il cibo alla bocca o l'acqua al viso, ed altre parti del corpo. Non solo la parte fisica però.
E' la nostra mente che ordina al braccio di prendere il cibo ed inserirlo nella bocca. E' la nostra mente che ordina alla mano di afferrare un bicchiere, riempirlo d'acqua ed ingerirla. E perché la nostra mente ordina queste cose al corpo? Perché a sua volta è la parte fisica che avverte la mente sul bisogno di mangiare, di bere o di dormire. Pensiamo poi ad azioni più complesse e straordinarie come innamorarsi, pregare, giudicare, meditare. E' la mente che viene coinvolta in questi mondi immateriali della preghiera che nasce da un vero e proprio desiderio spirituale, della meditazione o del giudizio al quale presto sarete chiamati voi signori giurati. Ma anche in questi casi la mente interagisce con il corpo che manifesta i sentimenti provocati da queste azioni. Dunque mente e corpo interagiscono. Qualche altro esempio: mi scotto un dito, evento corporeo, e sento dolore, evento mentale; mi drogo, evento corporeo, ed ho le allucinazioni, evento mentale; vedo il semaforo verde, evento corporeo, ed ordino al piede di accelerare, evento mentale.
L'uomo dunque è composto da una mente che è un'entità spirituale, ovvero è immateriale e da un corpo, compresa la massa grigia del cervello, che è solo il mezzo di comunicazione tra mente e corpo. Il corpo, contrariamente alla mente è un'entità materiale e cioè ha un peso, una massa, un volume, una posizione nello spazio ed obbedisce a tutte le leggi fisiche.
Intuitivamente l'uomo comprende che quando soffre o gioisce, o risolve un problema o ha sete di giustizia è assolutamente differente dall'ambiente naturale ed artificiale. E' la mente quel qualche cosa in più che ci distingue. Ma evidentemente è un extra immateriale.
Il fatto che la mente sia spirituale è dimostrato anche da ragioni epistemiche, scientifiche. Noi infatti possiamo apprendere, senza usare i cinque sensi, realtà immateriali come i numeri. E se i numeri non possono avere alcun effetto sulla materia (avete mai visto il numero 10 spostare una pietra?), ma possono influenzare la mente allora la logica mi suggerisce che quest'ultima è immateriale.
Signori giurati, perché tutto questo discorso? Perché dimostreremo che Luca Fazi, esperimento da bottega, è privo di qualsiasi mente, è solo un'entità fisica, un concentrato di materia selezionata che agisce esclusivamente in relazione agli stimoli esterni. Non ha capacità di scelta proprio perché è incompleto. Il suo comportamento è provocato e causato dall'ambiente che lo circonda e che lo stimola. Non ha una mente che decide, uno spirito che coordina le sue azioni. Il gesto criminale da lui compiuto è stato necessario, inevitabile".
La giuria è letteralmente sbigottita. I loro occhi sono rimasti spalancati e pensosi nonostante Francesco Vita avesse terminato di parlare ormai da qualche minuto.
Si erano avventurati in una dimensione che avrebbe rimesso in discussione ogni attimo della loro vita trascorsa forse troppo superficialmente ed inutilmente. Il processo contro Luca Fazi poteva pericolosamente trasformarsi in un processo contro ogni essere umano.
"La parola alla difesa".

16 giu 2008

CAPITOLO 7

CAPITOLO 7: IL PROCESSO

E c'erano proprio tutti i rappresentanti della stampa internazionale quella mattina nell'aula del Tribunale di Roma.
LUNEDI' 12 MARZO.
"Ha inizio il processo di primo grado contro Luca Fazi, accusato di omicidio volontario dei genitori Roberto e Maria Fazi".
Un metro e novanta di bellezza assoluta e curatissima, esaltata da un'eleganza fine e sobria; due grandi occhi blu attenti ma un po' spenti che scrutano con intelligente curiosità l'affannosa frenesia di decine di fotografi precipitati dalle varie redazione per immortalare un personaggio alle soglie della disfatta; le labbra serrate come se a fatica volesse trattenere un getto di parole di fuoco. Seduto sul banco degli imputati stava Luca Fazi accusato del gravissimo doppio omicidio volontario a scopo di lucro.
Erano pochi gli indizi a carico di Luca e probabilmente sarebbe stato prosciolto rapidamente se non fosse stato per l'importantissima rivelazione lanciata proprio da quell'amico di famiglia giornalista.
"Le prime due vittime del mostro" intitolava ad otto colonne il Corriere. Alfonso Sghettini svelava con toni sarcastici e preoccupanti la vera identità di Luca Fazi, la sua origine artificiale, la sperimentazione genetica applicata a quel primo prototipo di uomo perfetto.
Non c'è dubbio che la notizia scoppiò come una bomba sull'opinione pubblica. Fecero eco naturalmente dibattiti televisivi, discussioni, ricerche, condanne. Si scatenarono filosofi, scienziati, giornalisti, vescovi per la difesa o per la condanna di un uomo che forse era più simile ad un robot e dunque privo di freni inibitori, di una coscienza, di regole morali.
Sarebbe stato un processo anomalo. Non c'erano a carico dell'imputato prove che dimostrassero con inconfutabile certezza la colpevolezza o l'estraneità rispetto agli omicidi. C'erano solo alcuni indizi e molti sospetti che sarebbero stati rivelati se si fosse riuscito a dimostrare che Luca Fazi è solo un'opera genetica, il cui cervello agisce come una macchina, i cui pensieri nascono solo dagli impulsi elettrici che i neuroni cerebrali trasmettono al sistema nervoso.
L'ingegneria genetica ha dato la vita ad un corpo, ma questo corpo può essere considerato uomo? La questione era questa: se consideriamo l'uomo come l'unione tra un corpo ed uno spirito, ed è quest'ultimo che ci dà la nostra individualità, che ci distingue dagli altri uomini, che non ci riduce a macchine in serie, che ci dà la libertà di scegliere quali neuroni cerebrali azionare per fare questa o quella cosa, che ci rende unici nell'universo, e Luca Fazi al contrario solo un corpo, un computer, allora l'imputato sarà ritenuto colpevole perchè legato necessariamente alle leggi della propria materia corporea e materiale, che l'avrebbero indotto a compiere quei gesti criminali.
Certamente se riteniamo che la nostra personalità, il nostro io sia solo quella massa grigia che abbiamo nel cranio, e che rotta quella non c'è più niente, è chiaro che ogni realizzazione la cerchiamo nel mondo e soprattutto la vogliamo nel momento in cui la massa grigia è ancora funzionante.
Non è così se, nel momento di autocoscienza, comprendo che quella massa grigia non sono io, ma la manovro io che sono al di fuori, e dunque se credo che la mia persona non sia solo corpo ma anche e soprattutto anima, allora nasce quasi un disinteresse a ciò che avviene al mio corpo, e a ciò che avviene nel mondo, luogo nel quale il corpo vive.
E poi se siamo solo materia, da dove nasce la nostra libertà di agire come vogliamo, se il corpo, in tutto e per tutto è soggetto e prigioniero di leggi fisiche, materiali?
L'apertura degli atti processuali era affidata naturalmente al Pubblico Ministero, il magistrato Francesco Vita, un uomo pieno di esperienza e saggezza, famoso per aver risolto un eccezionale caso di corruzione politica legato al traffico internazionale di armi.

CAPITOLO 6

CAPITOLO 6: LA SOFFERENZA

ROMA, 30 ANNI DOPO.
Una tavola apparecchiata. Il camino scoppiettante. Una pioggia dolce e regolare accompagna i discorsi di due grandi amici. Sono Gianfranco La Torre, presidente del tribunale di Roma e Paolo Giusto.
"Avevo diciannove anni e la sudata maturità scientifica. La sicurezza e l'audacia di un giovane pioniere del West, e il coraggio e la superficialità di un ragazzo che ha assaggiato solo la spensieratezza e la gioia dell'adolescente. Ventiquattro ore erano poche per godermi nella giornata le mille idee che mi balenavano in testa. Avevo conosciuto l'amore, o pensavo di averlo conosciuto. Il mondo era mio e non avevo paura di affrontarlo. La sensazione che niente e nessuno potesse distruggere i miei sogni mi dava tranquillità e la presunzione di essere superiore agli altri. Ero sicuro di passarmela bene, di essere felice. Prima di addormentarmi ripassavo, nella mente, le sensazionali esperienze della giornata. Ma non me le ricordavo. Ero andato troppo in fretta. Le sensazione che mi erano sembrate bellissime, erano fuggite via. Dialogare con la mia famiglia, pregare, fermarmi a meditare, erano cose che mi avrebbero fatto perdere tempo. E invece fuori c'era il mondo da conquistare.
Il sabato la discoteca, il giovedì la partita a poker, i pomeriggi con la fidanzata e la sera con gli amici o con la TV. E poi c'erano gli incontri di calcio, il biliardo, il motorino, i viaggi, lo sci, la chitarra. Il mio carnet è sempre stato pieno, ho sempre fatto mille cose, ma non ho mai fatto niente.
- Non hai nemmeno cinque minuti per noi - mi rimproveravano i miei genitori. Sorridevo e fuggivo via. Ora ripenso a quegli anni che nella mia mente sono solo minuti. Qualche immagine che la memoria ritiene a fatica è il ricco patrimonio delle corse giovanili. Bloccate all'improvviso.
- Dovresti tornare, tuo fratello si è fatto male -. E' cambiata la mia vita. Quel maledetto treno era lento. Mi riportava indietro verso Pescara da un ennesimo viaggio del piacere. Il sedile era piccolo per me e per i miei pensieri che fuggivano e tornavano portando nell'anima a volte speranza e spesso tragedia. Non sapevo cosa fosse accaduto a mio fratello Carlo. Cristiana mi ha cercato al camping per invitarmi a tornare.
- Ha sbattuto la testa tuffandosi dagli scogli, ma non è grave -. Le ultime quattro parole hanno suonato più delle altre la campana funebre nel mio cuore. Pure un sordo avrebbe inteso che erano state dette per consolarmi.
Mi scoppiava il cervello, lo stomaco si contraeva, il cuore tremava.
Era già morto? Forse è stata solo una brutta contusione. Ma allora perché mi hanno cercato in Puglia? Forse si sono impauriti gli altri, ma in realtà Carlo sta bene. Cristiana ha detto che non è grave. Lo ha fatto per non impressionarmi?
Questa era l'ipotesi più credibile ma la cacciavo con forza disperata dalla mente.
E facevo patti con Dio: non fumo più se lo fai stare bene.
E pregavo. Ma il treno non arrivava mai.
Alla stazione di Lecce avevo telefonato ai miei genitori: - è tutto paralizzato - piangeva mio padre. Non avevo la forza di consolarlo.
Dopo un mese Carlo morì. Cambiò la mia vita. Il dolore per la perdita del mio unico fratello, la responsabilità di genitori ormai anziani e provati troppe volte dalla brutalità della vita, il contatto diretto con la sofferenza e con la tragica realtà dell'esistenza furono vere maestre di vita". Paolo si era abbandonato a ricordi della sua giovinezza. Piangeva.
Quelle lacrime cacciavano via anche il triste ricordo della morte improvvisa dei suoi genitori, Angela e Alberto, che lo avevano lasciato solo; solo con la necessità di crescere in fretta, di saltare nell'universo dei grandi.
Solo fino al suo matrimonio con la bellissima Eva.
La pioggia non picchiettava più sulla finestra ed in cielo si erano accese mille stelle luminose.
Del grande tronco di legno che bruciava nel camino non era rimasto che frantumi di brace fumante.
"Dedicherai a tuo fratello Carlo questo importante processo che ti hanno affidato. Sono sicuro che opererai con grande professionalità e darai la massima assistenza al tuo cliente. Vincerai la causa" lo consolava il suo amico paterno Gianfranco, un giudice che era stato anche docente di Paolo durante gli anni dell'università.
Erano le 11 di sera di una domenica di marzo. Il giorno seguente Paolo Giusto avrebbe difeso un ragazzo accusato di un crimine di cui si parlava già da tempo su tutta la stampa mondiale.

15 giu 2008

CAPITOLO 5

CAPITOLO 5: FORZA DI VOLONTÀ'

PESCARA, 12 DICEMBRE 1965.
"Presto, presto! Preparate la rianimazione! La stiamo perdendo! Ossigeno, ossigeno"! Il primario del reparto ginecologico della clinica Pierangeli sembrava impazzito. In 25 anni di attività professionale non aveva mai visto morire una donna a causa di un parto.
Il cuore aveva ripreso, se pur debolmente, un battito regolare, ma la prognosi era riservata. La vita di Angela Giusto era attaccata ad un filo: aveva voluto questo figlio a tutti i costi pur sapendo in pericolo la propria esistenza.
"Partorire a quarantadue anni" l'avevano avvertita tutti i medici "è assai rischioso, tenendo anche in considerazione le difficoltà enormi che lei ha sopportato durante la prima gravidanza".
Già, Angela Giusto quattro anni prima aveva messo al mondo un bambino bellissimo, Carlo, ed era stata forse la sua prima vera soddisfazione dopo una vita di stenti e sacrifici.
Angela era nata in un piccolo paese dell'Abruzzo, Pratola Peligna, da genitori poverissimi. La madre, Isolina, si alzava alle quattro del mattino per lavorare i campi, accudire la casa, onorare il Tempio di Dio e sfamare i suoi cinque figli. Il padre, Alfredo, aveva fatto di tutto: il contadino, il muratore, il falegname e il legionario in Spagna al fianco di Franco, durante il fascismo. Ma tutto quello che riuscivano a mangiare era una manciata di fagioli oppure un pezzo di pane e lardo.
Angela però soffriva soprattutto a causa dell'ignoranza dei suoi compaesani, delle barriere culturali, dell'invidia, della gelosia, del pettegolezzo, della maldicenza. Lottò con tutte le sue forze per emergere da quel piccolo ambiente contadino.
Amava lo studio, i classici e in particolare il latino.
Se ne accorse la sua maestra, una ricca signora toscana capitata per sbaglio in quella vallata d'Abruzzo. La maestra pagò gli studi di Angela fino ai 18 anni.
Ma lei voleva continuare. Voleva laurearsi. Fu costretta a lavorare sodo: dieci ore di lezioni private al giorno per potersi mantenere all'università e per pagare le costose cure alla madre che intanto si era ammalata di cancro.
Ma l'impegno, la tenacia, la volontà di ferro, la passione per gli studi ed una grande intelligenza la portarono al dottorato in lettere in poco meno di quattro anni.
Morì la madre. Angela dovette accudire la sorellina, molto più piccola di lei, Antonietta.
Si trasferì a Pescara, con la sorella, perché lì aveva vinto la cattedra per l'insegnamento dell'italiano e del latino. E fu a Pescara che conobbe suo marito, Alberto, professore di storia e filosofia.
Poi la morte di Antonietta, dopo un anno di agonia.
Il gemito del bambino interruppe quel sordo frastuono di macchinari medici.
E' nato. Paolo è nato ed Angela ce l'ha fatta.

13 giu 2008

CAPITOLO 4

CAPITOLO 4: L' UOMO ARTIFICIALE

STATI UNITI, BOSTON, 8 DICEMBRE 1975.
Un giardino ad erba rasa verdissima, alti e robusti pini canadesi sui bordi di un lungo viale brecciato, una fontana zampillante tra curatissime aiuole ed una scritta gigantesca sul cancello d'entrata: institute of research GENESIS.
Erano finalmente arrivati in quella "clinica" che avrebbe dato alla luce il loro figlio. L'incontro con il direttore non era ancora avvenuto ma Roberto Fazi aveva organizzato le cose in modo che Bruke non avrebbe mai potuto rifiutare la proposta di adozione. La società Fazi aveva permesso l'ingresso sui mercati di Londra ad una prestigiosa gioielleria americana che, a detta di Alfonso Sghettini, era una grossa azionista della Genesis. Tutto ciò era stato mediato dall'ambasciatore americano di Roma, buon amico del gioielliere. Ma nonostante tutto Roberto e sua moglie Maria avevano il cuore in gola.
Il cancello si era aperto elettronicamente. La limousine avanzava lentamente in quel parco incantevole.
"Benvenuti signori". L'ambasciatore in persona li aspettava davanti al portone d'entrata. "Il professor Bruke vi sta aspettando".
Mancava ormai poco all'incontro con il "padre" di suo figlio e Roberto era pervaso da un senso di gioia e insieme di terrore per quanto stava per accadere.
Un corridoio lunghissimo. Un ascensore di vetro. Una porta: erano nell'ufficio del direttore e lui, seduto in poltrona leggeva i commenti del New York Times sugli esperimenti biogenetici del suo laboratorio di Boston. Pochi e freddi scambi di battute e via di corsa nell'aula genetica. James Bruke temeva che quegli individui non avrebbero mai capito che tipo di persona avevano adottato. Ed immaginava già conseguenze disastrose. E poi non voleva allontanarsi dalla sua creatura.
La sala sperimentazione era immensa: oltre 5000 metri quadri suddivisi in scompartimenti e settori, ogni zona attrezzata di laboratori completi ed equipaggiatissimi, di magazzini frigorifero per la conservazione di materiale organico, ed ambienti a temperatura costante e regolabile per le sperimentazioni più complesse. Una marea di scienziati, ricercatori, assistenti ed operai formicolava tra i banchi del laboratorio. E sembravano perfettamente sincronizzati nella loro frenetica agitazione per i lavori che stavano eseguendo.
"Vedete" spiegava Bruke "più di tre miliardi e mezzo di anni fa, quando le condizioni di temperatura, di composizione chimica e di energia radiante si trovavano ad essere quelle adatte, sulla Terra apparve la vita e con ogni probabilità ciò avvenne in mare. In un'unica occasione. In altri termini, la grandissima profusione di forme di vita esistenti sul nostro pianeta, dai batteri o dalle alghe all'uomo stesso, discendono tutte dalla primitiva cellula vivente. Ciò comporta implicazioni profonde per l'ingegneria genetica".
"Come siete riusciti ad ottenere un uomo"? Era chiaro che Roberto Fazi dirigeva il discorso in direzione di ciò che più lo riguardava.
"Le particelle subatomiche" continuò con pazienza il direttore "compongono gli atomi; gli atomi si uniscono a costruire molecole; le molecole si aggregano, spesso in modi molto complessi, a formare sostanze, oggetti, organismi e così via. Le molecole più interessanti nelle nostre ricerche sono quelle degli acidi nucleici DNA e RNA. Il DNA codifica l'informazione per la vita; le copie nell'RNA permettono di tradurre tali informazioni in belle ed utili proteine. Come avviene tale procedimento intelligente lo abbiamo scoperto analizzando il gene che compone la molecola dell'acido. Le molecole sono lunghissime e contengono migliaia di geni. La prima mossa dell'ingegnere genetico è quella di spezzare il DNA in piccoli frammenti maneggevoli, contenente ciascuno solo uno o pochi geni. Uno per volta i vari frammenti vengono saldati ad uno speciale pezzo di DNA, simile ad un virus, dotato della capacità di autoduplicarsi. Queste molecole di DNA invadono ora cellule ospiti in rapida divisione, anche qui una per volta. Ogni cellula ospite, che è spesso un batterio o un lievito, diventa in tal modo una fabbrica per la produzione di un gene puro. Nella genoteca del DNA abbiamo imparato a trovare solo i geni che ci interessano. In questo modo otteniamo anche vaccini per combattere le diverse malattie. Ma veniamo al nostro bambino".
Il gruppetto entra nella stanza centrale del laboratorio. Eccolo! A testa in giù il feto del bambino artificiale è completamente formato. La commozione è incontenibile: Maria Fazi scoppia in lacrime. Suo marito l'abbraccia forte, alza il pugno al cielo e grida: "la scienza può darmi ciò che Dio mi ha finora negato".
James Bruke, gonfio di sé, riprende il discorso: "abbiamo ricostruito le molecole degli spermatozoi selezionando solo i geni perfetti, i migliori e quelli naturalmente che ne permettono l'esistenza, la vita. Gli spermatozoi sono stati fecondati da questo utero artificiale".
Un bambino normalmente perfetto.
Nell'ufficio di James Bruke c'erano tutti: Roberto Fazi e la moglie, l'ambasciatore, Alfonso Sghettini, il presidente della Genesis e il presidente della Gold Fiche, l'azienda americana introdotta in Europa dalla società Fazi.
Quindici milioni di dollari fu "l'offerta" accordata per l'adozione.
E poi regole severissime su controlli medici, psichici e pedagogici. Il bambino avrebbe dovuto avere un'educazione particolare, con insegnanti particolari e programmi particolari.
Il 25 dicembre sarebbe venuto al mondo e naturalmente per l'evento erano invitati anche i futuri genitori. Ma il bambino non avrebbe potuto lasciare l'istituto prima dei trenta giorni dalla sua nascita.

CAPITOLO 3

CAPITOLO 3: LA SPERANZA

Sono passati due mesi dalla diffusione di quella notizia clamorosa ed oggi un importante quotidiano italiano pubblica un'intera pagina su tutti gli aspetti tecnologici, pratici, sociali ed etici dell'ingegneria genetica. Un ampio servizio di Alfonso Sghettini. "O Signore! Ma Alfonso è stato a Boston, ha parlato con Bruke. Potrà pur dirmi qualche cosa di più preciso".
"Pronto Alfonso? Ciao sono Roberto, Roberto Fazi". Alfonso e Roberto sono stati vecchi compagni universitari, molto legati dalla passione per lo studio, per il movimento studentesco anti sessantotto, per l'Inter e per le bionde.
"Non posso crederci. Allora i vecchi amici hanno ancora un posto nella tua rubrica telefonica. Sono anni che non ti sento. Cos'è, hai fatto banca rotta"?
"Ah ah ah, non cambi mai. Ho letto il tuo servizio sul Corriere. Sono molto interessato ed avrei bisogno di parlare con te di alcune cosette. Che ne dici di venire per il fine settimana da me, al castello"?
"Senti senti. Spunti fuori dopo anni per parlarmi di alcune cosette; andiamo , cosa c'è sotto? Cosa ti sta passando per la testa"?
"Effettivamente è una questione un po' delicata e preferirei parlarti di persona. E poi ho una gran voglia di rivederti".
"Va bene. Sabato sera son da te".
Roberto aveva deciso di coinvolgere anche Maria in questa scelta, ma voleva che a parlargliene fosse l'amico giornalista.
Al castello c'erano molti ospiti, come tutti i sabati, ma quella era una sera speciale.
Biondissimo, carnagione chiara, occhi marroni e fisico un po' rilasciato, arriva finalmente Alfonso. Un abbraccio lungo mille ricordi. Né Alfonso né tantomeno Roberto avevano incontrato nel corso della loro vita un amico così sincero.
La nottata scivolò via tra brindisi e risate, balli e giochi, pettegolezzi e chiacchiere inutili.
Il padrone di casa non si divertiva affatto. Aveva assolutamente bisogno di sfogarsi con l'amico e di informare la moglie del suo progetto di adozione.
"Alfonso. Maria. Dai andiamo in giardino; porto con me una bottiglia".
Alfonso aveva immediatamente colto lo stato d'animo turbato di Roberto. Prese per mano Maria e si avviarono in giardino.
"Seguo con attenzione gli sviluppi dell'ingegneria genetica" attacca Roberto.
"Ho letto qualche cosa anch'io sull'uomo artificiale" prosegue Maria.
"Sarà la creatura più perfetta di tutti i tempi. Sono ormai tre mesi che curo l'argomento" spiegava il giornalista "e sono rimasto ammaliato dall'incantevole mondo della scienza".
"Quale sarà la sorte del bambino in provetta"? La domanda di Roberto era naturalmente assai motivata.
"Ci sarà un programma integrativo. Il bambino sarà immesso nella società e solo i suoi costruttori sapranno che è un uomo artificiale. Comunque mi ha assicurato James Bruke che l'esperimento riuscirà perfettamente. Otterremo un uomo dalle qualità psicofisiche eccezionali".
Le parole dell'amico erano musica per Roberto, erano proprio le risposte che voleva sentirsi dare.
Il desiderio di possedere quella creatura era diventato morboso, ossessivo.
"Voglio adottarlo"! esplose senza mezzi termini Roberto.
"Sì" incalzò con sbigottita eccitazione Maria saltando su dalla sedia "sì, prendiamolo noi! E' un'idea favolosa. Potremo offrirgli di tutto e... noi abbiamo tanto bisogno di un figlio".
Alfonso Sghettini non credeva alle proprie orecchie.
"Adottare quella creatura? Sarà impossibile. E poi l'equipe vorrà seguire da vicino il destino di quest'uomo artificiale e voi vivete in Italia".
I dubbi dell'amico erano effettivamente ben motivati e comunque già calcolati da Roberto: "ci metteremo a completa disposizione per ogni controllo medico e scientifico, e pagheremo inoltre una grossa cifra di denaro che farà sicuramente comodo all'istituto Genesis".
Il dottor Fazi aveva un piano ben preciso.
"Ascolta Alfonso, tu devi introdurci nell'istituto, presentarci al direttore e garantire per noi. Al resto penserò io".
All'improvviso nel giardino regnò una calma tesa, carica di emozioni.
"Pensa a cosa significherebbe per la tua professione stare spesso in contatto con l'uomo artificiale all'insaputa di tutti gli altri giornalisti" continua Roberto.
"Fallo almeno per me. Ho un disperato bisogno di avere un figlio". Le poche e tenere parole di Maria cancellarono ogni perplessità nella mente di Alfonso: "va bene, partiremo la settimana prossima".

12 giu 2008

CAPITOLO 2: UNA RIVOLUZIONE

Da alcuni decenni si sta verificando una seconda vertiginosa febbre dell'oro: la frenetica ricerca nel campo dell'ingegneria genetica.
Inghilterra, Stati Uniti e Giappone impiegano ingenti forze economiche e scientifiche per la realizzazione di esperimenti biogenetici. Molti studi sono indirizzati a ricerche futili e secondarie come la trasformazione di pomodori in prodotti alimentari a lunga conservazione oppure alla creazione di trote più bianche per essere riconoscibili in acqua.
La Genesis, ditta americana, leader nel settore, da tempo si occupava di persone umane. Oltre duemila scienziati, medici e chimici sono quotidianamente impegnati nella messa a punto delle tecniche di ricombinazione del DNA al fine di programmare un bambino prodigio, concepito direttamente in provetta.
Gli esperimenti procedono a ruota libera grazie all'abbondanza dei finanziamenti e alla mancanza di leggi federali ed internazionali che controllino l'attività dei laboratori. Non c'è alcuna supervisione nè una coerente politica vigilatrice. Sembrano tutti preoccupati esclusivamente del proprio guadagno. La genetica molecolare è soprattutto un grosso affare, una spietata ricerca del potere.
La stampa italiana finalmente sembra accorgersene.
Tutti i mezzi di comunicazione davano voce alla sensazionale notizia: "il prossimo 25 dicembre 1965 avremo la possibilità di mettere al mondo il primo uomo creato artificialmente". Con queste parole James Bruke, direttore della Genesis, annunziava, come un arcangelo, una rivoluzione biologica, sociale e morale. Non si trattava di robot ma di una persona vera e propria, nata per mezzo dell''unione di spermatozoi maschili artificiali, perfetti, dal codice genetico selezionato, fecondati in un utero materno ricostruito, in provetta insomma.
Il giorno di Natale sarebbe venuto alla luce un uomo nuovo, dai poteri straordinari.
Roberto Fazi passando in rassegna i suoi quotidiani rimase assai colpito dalla notizia.
"Un uomo selezionato. Una creatura perfetta. Un bambino di nessuno".
Per giorni il commerciante aveva un pensiero fisso: quell'essere in provetta, ricco di mistero e potenza della scienza. Era certamente un fenomeno, un grande e, perché no, un Fazi.
"No, è assurdo" mormorava tra sé "come potrei mai adottare un prototipo di uomo? Certo sarebbe il migliore dei figli possibili, un insieme di qualità straordinarie, un degno prosecutore della dinastia. E soprattutto non avrebbe il sangue di nessun altro. Potrebbe realmente essere mio figlio. Già, ma come fare a contattare la Genesis"? La sua testa lavorava a pieno ritmo alla ricerca di una soluzione. Faceva mentalmente appello a tutte le persone che conosceva: ambasciatori, medici, politici. Non trovava una via d'uscita, ma per lui era iniziata un'avventura psicologica entusiasmante e sconcertante. Si sentiva già padre ma di una creatura unica, eccezionale, misteriosa.
Decise di non far parola con Maria, le avrebbe proposto l'adozione del figlio in provetta solo quando ne avesse avuto reale possibilità.

10 giu 2008

PUBBLICAZIONE GRATUITA

UN ESPERIMENTO EDITORIALE: VOGLIO OFFRIRE AI LETTORI DEL BLOG IL MIO PRIMO ROMANZO BREVE, VINCITORE DEL PREMIO INTERNAZIONALE HISTONIUM E TRADOTTO IN RUSSO PER UNA PROSSIMA PUBBLICAZIONE, OFFRENDO GRATUITAMENTE A PUNTATE QUOTIDIANE I 14 CAPITOLETTI DEL ROIMANZO BREVE.
IL TITOLO E' "UN NODO DEL MONDO", CASA EDITRICE TRACCE. E' UN TRILLER FILOSOFICO, DI NON FACILE LETTURA (SPECIALMENTE LA SECONDA PARTE). MA CONFIDO NELL'INTELLIGENZA E NELLA CULTURA DEI FREQUENTATORI DEL BLOG.
SONO MOLTO GRADITI INTERVENTI, COMMENTI, CRITICHE E GIUDIZI (ALLA FINE DELLA LETTURA O ANCHE CAPITOLO PER CAPITOLO).
ALLORA, BUONA LETTURA A TUTTI.
UN CONSIGLIO: STAMPATE I CAPITOLI PERCHE' SU CARTA LA LETTURA E' PIU' SCORREVOLE


CAPITOLO PRIMO: DESIDERI E SOGNI
Avevano tutto fuorché un figlio.
Vivevano in un castello del XIII° secolo pieno di storia e di arte. Quadri, affreschi, ceramiche avevano un prezzo inestimabile perché non si può acquistare con il denaro l'emozione del bello, l'eccitazione di viaggiare ad occhi aperti nel passato.
Vivevano in un castello con più di trenta stanze ma erano in due. Roberto Fazi era uno dei più grandi commercianti d'oro di tutto il mondo e sua moglie Maria un'attenta e raffinata collezionista. Per riempire i freddi vuoti delle stanze deserte Maria acquistava dipinti, mobili e suppellettili che dessero profumo storico agli ambienti desolati e passione culturale alla sua mente annoiata. La sua immagine preferita era rappresentata su di una grossa tela in cui Raffaello, aveva ritratto nel 1513 "la sacra Conversazione": la Madonna stringe fra le braccia il Bambin Gesù in un'atmosfera magica, spirituale, quasi mistica.
La signora Fazi passava ore intere in contemplazione di quell'opera d'arte. Non coglieva nessuno stimolo religioso ma solo una gran voglia di maternità. Negli occhi della Madonna vedeva solo l'amore di una madre. Ciò che lei non era.
Amava spesso ascoltare dalle sue amiche le imprese dei loro bambini alle prese con i primi passi, i dentini che spuntano e i mal di pancia. Erano storie che la facevano morire d'invidia: poteva avere tutto ma non un figlio. E quel desiderio non era un capriccio.
Maria aveva una grande voglia di amare il suo bambino, una creatura che colmasse il vuoto del castello e del suo cuore.
Roberto Fazi aveva costruito un vero impero economico: intere catene di gioiellerie nelle capitali d'Europa erano di sua proprietà. Girava il mondo con il suo jet privato.
Roberto contava amicizie tra governanti, imprenditori, costruttori, attori, cantanti. Piaceva alle donne. Il suo tempo lo dedicava però al lavoro, frenetico, snervante, e alla lettura di un buon libro e di tutti i quotidiani.
Un tempo amava sua moglie, una ragazza bellissima, ma l'assenza di un sorriso, l'incapacità di programmare insieme il futuro, avevano spento ogni entusiasmo e la loro convivenza oscillava tra la noia e l'indifferenza.
Il maggiordomo, con passo lento e deciso, si avviò verso il portone centrale. La servitù era schierata in alta uniforme lungo il corridoio d'ingresso. Il fuoco della fiaccola disegnava il grande viale d'accesso. Era tutto accuratamente preparato per ricevere amici e parenti in onore di Maria.
I primi a giungere al castello furono i genitori di Maria, una coppia semplice e affiatata che mai aveva voluto lasciare il proprio piccolo appartamentino e cambiar vita nel lusso e nello sfarzo.
Una vita di noioso e duro lavoro quotidiano aveva dato loro il prezioso dono del gusto del poco, e la prudenza necessaria per capire il pericolo sublimale nascosto nell'abbondanza.
"Un cavaliere bellissimo corazzato e armato fino ai denti che stermina bambine piccole e indifese, incurante dei suoi grandi occhi azzurri" Con questa favola Francesco il padre di Maria, metteva in guardia l'amata figlia dai sogni di ricchezza. E le raccontava delle potentissime armi nelle mani del cavaliere. Della superbia che ti illude di essere grande per poi bruciarti nel fuoco della solitudine; della paura che con brama frenetica ti fa accumulare denari e potenza sotto la minaccia costante di potere in un attimo prende tutto; della noia che intorpidisce la fantasia perché ogni sogno diventa facilmente realtà, ogni desiderio una realizzazione. e queste affilate armi penetravano con violenza nei molli cuori degli uomini illusi di accogliere gioie e piaceri.
Francesco e sua moglie, stimavano e rispettavano Roberto, ma appartenevano ad un altro mondo, e tutto era così strano.
Con un’automobile d'epoca che ben si intonava con la magnifica atmosfera di quel castello medievale, giunsero Mendez e Cristina, due giovani architetti, sposini novelli, legati a Roberto e Maria forse da una pericolosa ed insinuante voglia di trasgressione, nascosta quel tanto da lasciare nel dubbio e nel sospetto insieme, i quattro amici.
Poi arrivarono banchieri, deputati, finanzieri accompagnati da bambole da capogiro, prese in affitto per una serata di gala.
Il tintinnio dei calici di cristallo salutava il trentacinquesimo compleanno di Maria, ma lei non era li. I suoi sguardi e i suoi pensieri si erano abbandonati ad un gruppetto di bambini che si rincorrevano nella sala dei giochi che Roberto e Maria avevano fatto costruire nel castello come dono augurale ai pargoletti nascituri. Erano felici quei piccolini, tutti ben vestiti e sudati. Erano l'unica cosa viva tra quei freddi muri medievali.
I discorsi che accompagnarono la lunga cena toccarono tutti i punti della mondana nullificazione dell'individuo. Si parlò di antiche tenute personali nelle nobili campagne toscane, dell'insopportabile fastidio del sole dei Caraibi e della fondamentale differenza tra il tacchino farcito e bagnato nell'uovo ed il tacchino farcito senza l'uso dell'uovo. Scivolò via anche quella notte. Gli sguardi tra Mendez, Maria, Roberto e Cristina si erano incrociati tante volte con brama e desiderio come non era mai accaduto. Tra i Fazi calava lentamente un sipario che li allontanava ogni giorno di più.
In realtà era proprio l'impossibilità di concepire un figlio che aveva spento gradualmente Roberto e Maria.
Fazi aveva un impero ma non un successore. Alla sua morte sarebbe tutto finito, tramontato. Un impero tramandato da cinque generazioni destinato ormai a scomparire. La dinastia dei Fazi sarebbe stata annientata alla morte di Roberto, l'ultimo discendente.
E allora perché continuare a lavorare, a produrre, a crescere? A quale scopo? Per chi?
No, non poteva finire così, niente avrebbe rotto la potenza e l'immortalità dei Fazi.
Niente, neanche la più terribile delle malattie genetiche.
Questi pensiero tormentavano la mente di Roberto. Lo assillavano, lo facevano impazzire.
"Un figlio vuol dire eternarsi, continuare a vivere per sempre in tuo figlio e nel figlio di tuo figlio ". Le parole del padre gli tornavano spesso nel ricordo e gli infliggevano un terribile senso di responsabilità perché la sua infecondità e quella di Maria avrebbero interrotto il sogno di immortalità e di onnipotenza dei suoi avi.
E poi sapeva che la nascita di un bambino voleva anche dire riconquistare sua moglie, la donna che aveva amato con passione ardente e sincera e che ancora rispettava e stimava profondamente.
Avevano tutto, fuorché un figlio.
Spesso in casa si era parlato di adottare un bambino. Una soluzione che soddisfaceva a metà i desideri della coppia.
Quella sera a cena si riaccese la discussione.
" E' oggi il mio trentacinquesimo compleanno. Speravo che mi avresti regalato... beh insomma ci sono tanti bambini che aspettano una famiglia in cui vivere. E invece sempre queste pietre gelide " si lamentò Maria.
Roberto aveva preferito festeggiare nel castello, a lume di candela, cercando quell'intimità perduta da tempo.
" Abbiamo già esaminato la possibilità dell'adozione " replicò il marito "ma sai che non funzionerebbe. Non sarei capace di aiutare a crescere una creatura concepita da un altro uomo. Non lo sentire mai figlio mio ".
" Già" continuò Maria tra l'ironico e il risentito "non lo sentiresti figlio tuo. Impareresti ad amarlo e comunque porterebbe lo stesso tuo cognome, e..."
"...e il sangue di un altro " la interruppe Roberto.
Quella sera andò tutto male: il pasto lasciato a metà, il collier di diamanti dimenticato sul tavolo e una notte d'amore trascorsa in stanze diverse.
Il matrimonio era ormai allo sfascio. I due erano uniti insieme solo dal vago sogno di avere, un giorno, un figlio e dalla
disperazione di trascorrere una vita in solitudine.