22 giu 2008

CAPITOLO 12

CAPITOLO 12: LA MENTE AUTOCOSCIENTE


LUNEDI' MATTINA. AULA DEL TRIBUNALE.
Jhonn Cerew Eccles, premio Nobel per la neurologia, si avvicina al banco dei testimoni, non giura di dire tutta la verità ma promette di dare un contributo nel dibattito in corso.
"Si sbaglia chi afferma che l'uomo agisce spinto dagli impulsi chimici prodotti nel cervello". Le ipotesi medico-filosofiche di Eccles sostengono, come la giuria ben sa, le teorie precedentemente esposte da Popper.
Eccles riprende: "non è il cervello la fonte del pensiero e della vita, ma la mente, che è un quid di immateriale, superiore al cervello. Il cervello è solo il mezzo di comunicazione tra la mente ed il corpo. Le esperienze della mente autocosciente sono in rapporto con eventi neurali che si verificano nella massa grigia che abbiamo in testa, in quanto esiste un rapporto di interazione tra mente e cervello che dà luogo ad un certo grado di corrispondenza, ma non ad una identità.
"Come può affermare queste cose con tanta sicurezza"? gli domanda Paolo Giusto.
"Nell'azione volontaria ad esempio. Quando noi evochiamo eventi cerebrali come richiamare un ricordo, esprimere un concetto, fissare una frase. Quello sforzo, quel lavoro è fatto dalla mente. Come noi spingiamo un certo pulsante piuttosto che un altro nel computer a seconda dell'operazione che dobbiamo svolgere, così la mente, l'Io, agisce sul cervello ed è quindi dominante su quest'ultimo. E' la mente che sceglie, a seconda dell'interesse che è identificabile con ciò che chiamiamo attenzione.
Ma la mente ha anche un'altra fondamentale funzione che ci permette di essere realmente uomini: sintetizza ed unifica le varie esperienze neurali che avvengono nel cervello attraverso i sensi.
Pensate a quanti dati immettiamo ogni secondo nel cervello. E pensate che questi dati vengono lavorati in parti differenti del cervello stesso. Chi collegherà tutti questi dati? Come verranno integrati tra di loro? Chi sceglierà quali dati ritenere e quali scartare, poiché sarebbe impossibile trattenere tutto? E' la mente autocosciente. Quando si dice che una persona è matura significa che quella persona ha sintetizzato ed unificato in se stessa tutto quello che ha appreso nel corso della vita. Altrimenti un individuo sarebbe milioni di individui separati tanti quante sono le esperienze apprese. Ma non è così perché esiste la mente che sintetizza, aggrega, seleziona ed unifica le innumerevoli attività neurali del cervello. L'unità dell'esperienza deriva non da una sintesi neurofisiologica ma per il carattere di integrazione della mente autocosciente. Anzi suppongo che la mente si sia sviluppata in primo luogo proprio per costituire questa unità dell'io in tutte le sue esperienze ed azioni coscienti".
"Può fare qualche altro esempio per meglio chiarire la sua posizione"?
"Quando si compie un movimento volontario, la mente autocosciente esercita la sua azione su di un'ampia area della corteccia cerebrale i cui neuroni danno vita ad un complesso processo di modulazione, di trasmissione verso le cellule piramidali motorie, cioè quelle cellule del cervello addette a comandare il movimento. Dunque la mente autocosciente non esercita un'influenza diretta sulle cellule motorie. Così si spiega il ritardo di circa 0.8 secondi, tempo che intercorre tra il comando della mente e la trasmissione del messaggio agli arti per il movimento. Presumibilmente questo tempo è impiegato per stabilire, nei milioni di neuroni della corteccia cerebrale, gli schemi spazio-temporali richiesti. Ciò implica anche che l'azione della mente autocosciente sul cervello non si esercita in modo costrittivo, bensì in una forma più ipotetica e blanda".
"Lei, professor Eccles, parla sempre di mente autocosciente. Ma cosa significa avere coscienza di sé"?
"Ogni organismo" spiega Eccles "è un programma, ma solo l'uomo ha la consapevolezza di una parte di tale programma e la capacità o la possibilità di criticarlo. Ricorro ancora una volta ad un esempio: se esploriamo un ambiente , un luogo sconosciuto, che è un'azione programmata in tutti gli esseri viventi, solo l'uomo è cosciente dei rischi che corre nel farlo e sa che potrebbe anche morire. E' dunque consapevole sia del pericolo che della morte. L'animale al contrario si avventura e affronterà gli stessi rischi dell'uomo ma senza rendersene conto. Ancora un altro esempio. Una bestia ha un carattere che può essere virtuoso o meno. Ma sicuramente non potrà sforzarsi di diventare migliore, cercando, caso mai, di dominare le sue paure, la sua pigrizia, il suo egoismo, e di superare la sua mancanza di autocontrollo. La coscienza è quindi una prerogativa dell'uomo.
La morte. Pensiamo alla morte. Il pericolo della morte. L'inevitabilità della morte. Se riflettiamo sulla morte abbiamo sicuramente il massimo grado di autocoscienza. Uno dei problemi cruciali che ogni uomo si trova ad affrontare nel corso della sua vita è il tentativo di riconciliarsi con l'idea della inevitabile fine della morte. L'uomo muore come gli altri animali, ma l'inevitabilità della morte affligge solo l'uomo perché solo l'uomo, nel corso del suo sviluppo, ha acquisito l'autocoscienza".
L'avvocato Paolo Giusto meditava. Ancora una volta era tornato con la mente (o col cervello?) a quell'angoscioso periodo della morte del fratello che aveva così cambiato il suo modo di essere, che lo aveva fatto fermare. E probabilmente si chiedeva se quella macchina che stava difendendo avesse mai pensato alla morte.
"Parliamo ancora della morte" continua Giusto. "Il suo collega Popper afferma che la morte contribuisce anche a rivalutare la vita. Insomma l'inevitabilità di scomparire dalla Terra ha un valore positivo in quanto accresce il valore della vita stessa che si svaluterebbe se fosse destinata a proseguire per sempre. Popper in sostanza sostiene che è proprio la precarietà della vita, il fatto che dobbiamo affrontarne la fine, ad aumentare il suo valore e perfino quell'estrema sofferenza della morte. Anzi voglio leggere una breve lettera che Popper scrisse ad un suo carissimo amico a proposito di tali riflessioni. Leggo testualmente: - prima di tutto non aspiro alla sopravvivenza per l'eternità, anzi, al contrario, l'idea di andare avanti per sempre mi sembra assolutamente spaventosa. Chiunque sia dotato di sufficiente immaginazione per avere a che fare con l'idea di infinito penso sarebbe d'accordo con me. D'altra parte ho la sensazione che persino la morte sia un elemento da valutare positivamente nella vita. Penso che dovremmo capire che è la certezza pratica della morte a dare un grosso contributo a tutto ciò che dà valore alla nostra vita e specialmente alla vita di un' altra persona. Penso che non potremmo dare veramente valore alla vita se essa fosse destinata a proseguire in eterno -. Bene, accogliendo ciò che dice il suo collega interazionista, sostenitore dell'esistenza della mente spirituale, la vita ha una fine che coincide esattamente con la morte del corpo, dunque della materia, dunque del cervello. Torniamo così alla teoria materialista per la quale la vita è la vita del corpo in quanto l'uomo è solo corpo, dunque nulla affatto diverso dall'imputato Luca Fazi. Lei dottor Eccles che cosa ne pensa"?
"Io ritengo che sia un mistero fondamentale nella mia esistenza che trascende ogni spiegazione biologica dello sviluppo del mio corpo e dunque del mio cervello con la loro eredità genetica e la loro origine evolutiva. E che le cose stiano così io lo devo ritenere similmente per ogni essere umano. Non posso dare una spiegazione scientifica della mia origine: mi sono svegliato alla vita, per così dire, per trovare me stesso esistente come un io incarnato in questo corpo ed in questo cervello. E non posso dare una spiegazione scientifica sul fatto che debbo inevitabilmente pensare che questo dono magnifico di un'esistenza cosciente abbia un futuro, abbia possibilità di un'altra esistenza in condizioni diverse inimmaginabili. E' questione di fede. Insomma non condivido quanto afferma Popper circa la morte. Sono fermamente convinto che l'io più profondo sopravvive alla morte del cervello. Se permettete vorrei leggere anch'io una lettera che mi inviò lo scorso anno il neuroscienziato e neurochirurgo Wilder Penfield: - in ogni individuo la base fisica della mente è l'azione cerebrale; essa accompagna l'attività del suo spirito, ma lo spirito è libero ed è capace di un certo grado di iniziativa. Lo spirito è l'uomo come noi lo conosciamo. Egli deve avere continuità nei periodi di sonno e di coma. Dunque io assumo che questo spirito debba continuare in qualche modo dopo la morte. Non posso dubitare che molti si mettano in contatto con Dio e siano guidati da uno spirito superiore. Queste però sono convinzioni personali che ogni uomo deve scegliersi. Se egli avesse solo un cervello e non una mente questa difficile decisione non sarebbe sua -.
E' la morte allora che porta l'uomo a raggiungere il massimo grado di autocoscienza la cui nascita costituisce l'avvento di una trascendenza evolutiva, cioè di un fatto imprevisto e altamente improbabile, forse unico nell'universo. Una volta sorta l'autocoscienza, al mondo umano viene impresso un rapido sviluppo: fanno comparsa nella storia i valori etici, si inizia il processo dell'educazione. Insomma gli individui sviluppano se stessi. Storia dell'io e storia del pensiero interagiscono".

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