13 giu 2008

CAPITOLO 4

CAPITOLO 4: L' UOMO ARTIFICIALE

STATI UNITI, BOSTON, 8 DICEMBRE 1975.
Un giardino ad erba rasa verdissima, alti e robusti pini canadesi sui bordi di un lungo viale brecciato, una fontana zampillante tra curatissime aiuole ed una scritta gigantesca sul cancello d'entrata: institute of research GENESIS.
Erano finalmente arrivati in quella "clinica" che avrebbe dato alla luce il loro figlio. L'incontro con il direttore non era ancora avvenuto ma Roberto Fazi aveva organizzato le cose in modo che Bruke non avrebbe mai potuto rifiutare la proposta di adozione. La società Fazi aveva permesso l'ingresso sui mercati di Londra ad una prestigiosa gioielleria americana che, a detta di Alfonso Sghettini, era una grossa azionista della Genesis. Tutto ciò era stato mediato dall'ambasciatore americano di Roma, buon amico del gioielliere. Ma nonostante tutto Roberto e sua moglie Maria avevano il cuore in gola.
Il cancello si era aperto elettronicamente. La limousine avanzava lentamente in quel parco incantevole.
"Benvenuti signori". L'ambasciatore in persona li aspettava davanti al portone d'entrata. "Il professor Bruke vi sta aspettando".
Mancava ormai poco all'incontro con il "padre" di suo figlio e Roberto era pervaso da un senso di gioia e insieme di terrore per quanto stava per accadere.
Un corridoio lunghissimo. Un ascensore di vetro. Una porta: erano nell'ufficio del direttore e lui, seduto in poltrona leggeva i commenti del New York Times sugli esperimenti biogenetici del suo laboratorio di Boston. Pochi e freddi scambi di battute e via di corsa nell'aula genetica. James Bruke temeva che quegli individui non avrebbero mai capito che tipo di persona avevano adottato. Ed immaginava già conseguenze disastrose. E poi non voleva allontanarsi dalla sua creatura.
La sala sperimentazione era immensa: oltre 5000 metri quadri suddivisi in scompartimenti e settori, ogni zona attrezzata di laboratori completi ed equipaggiatissimi, di magazzini frigorifero per la conservazione di materiale organico, ed ambienti a temperatura costante e regolabile per le sperimentazioni più complesse. Una marea di scienziati, ricercatori, assistenti ed operai formicolava tra i banchi del laboratorio. E sembravano perfettamente sincronizzati nella loro frenetica agitazione per i lavori che stavano eseguendo.
"Vedete" spiegava Bruke "più di tre miliardi e mezzo di anni fa, quando le condizioni di temperatura, di composizione chimica e di energia radiante si trovavano ad essere quelle adatte, sulla Terra apparve la vita e con ogni probabilità ciò avvenne in mare. In un'unica occasione. In altri termini, la grandissima profusione di forme di vita esistenti sul nostro pianeta, dai batteri o dalle alghe all'uomo stesso, discendono tutte dalla primitiva cellula vivente. Ciò comporta implicazioni profonde per l'ingegneria genetica".
"Come siete riusciti ad ottenere un uomo"? Era chiaro che Roberto Fazi dirigeva il discorso in direzione di ciò che più lo riguardava.
"Le particelle subatomiche" continuò con pazienza il direttore "compongono gli atomi; gli atomi si uniscono a costruire molecole; le molecole si aggregano, spesso in modi molto complessi, a formare sostanze, oggetti, organismi e così via. Le molecole più interessanti nelle nostre ricerche sono quelle degli acidi nucleici DNA e RNA. Il DNA codifica l'informazione per la vita; le copie nell'RNA permettono di tradurre tali informazioni in belle ed utili proteine. Come avviene tale procedimento intelligente lo abbiamo scoperto analizzando il gene che compone la molecola dell'acido. Le molecole sono lunghissime e contengono migliaia di geni. La prima mossa dell'ingegnere genetico è quella di spezzare il DNA in piccoli frammenti maneggevoli, contenente ciascuno solo uno o pochi geni. Uno per volta i vari frammenti vengono saldati ad uno speciale pezzo di DNA, simile ad un virus, dotato della capacità di autoduplicarsi. Queste molecole di DNA invadono ora cellule ospiti in rapida divisione, anche qui una per volta. Ogni cellula ospite, che è spesso un batterio o un lievito, diventa in tal modo una fabbrica per la produzione di un gene puro. Nella genoteca del DNA abbiamo imparato a trovare solo i geni che ci interessano. In questo modo otteniamo anche vaccini per combattere le diverse malattie. Ma veniamo al nostro bambino".
Il gruppetto entra nella stanza centrale del laboratorio. Eccolo! A testa in giù il feto del bambino artificiale è completamente formato. La commozione è incontenibile: Maria Fazi scoppia in lacrime. Suo marito l'abbraccia forte, alza il pugno al cielo e grida: "la scienza può darmi ciò che Dio mi ha finora negato".
James Bruke, gonfio di sé, riprende il discorso: "abbiamo ricostruito le molecole degli spermatozoi selezionando solo i geni perfetti, i migliori e quelli naturalmente che ne permettono l'esistenza, la vita. Gli spermatozoi sono stati fecondati da questo utero artificiale".
Un bambino normalmente perfetto.
Nell'ufficio di James Bruke c'erano tutti: Roberto Fazi e la moglie, l'ambasciatore, Alfonso Sghettini, il presidente della Genesis e il presidente della Gold Fiche, l'azienda americana introdotta in Europa dalla società Fazi.
Quindici milioni di dollari fu "l'offerta" accordata per l'adozione.
E poi regole severissime su controlli medici, psichici e pedagogici. Il bambino avrebbe dovuto avere un'educazione particolare, con insegnanti particolari e programmi particolari.
Il 25 dicembre sarebbe venuto al mondo e naturalmente per l'evento erano invitati anche i futuri genitori. Ma il bambino non avrebbe potuto lasciare l'istituto prima dei trenta giorni dalla sua nascita.

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