16 giu 2008

CAPITOLO 6

CAPITOLO 6: LA SOFFERENZA

ROMA, 30 ANNI DOPO.
Una tavola apparecchiata. Il camino scoppiettante. Una pioggia dolce e regolare accompagna i discorsi di due grandi amici. Sono Gianfranco La Torre, presidente del tribunale di Roma e Paolo Giusto.
"Avevo diciannove anni e la sudata maturità scientifica. La sicurezza e l'audacia di un giovane pioniere del West, e il coraggio e la superficialità di un ragazzo che ha assaggiato solo la spensieratezza e la gioia dell'adolescente. Ventiquattro ore erano poche per godermi nella giornata le mille idee che mi balenavano in testa. Avevo conosciuto l'amore, o pensavo di averlo conosciuto. Il mondo era mio e non avevo paura di affrontarlo. La sensazione che niente e nessuno potesse distruggere i miei sogni mi dava tranquillità e la presunzione di essere superiore agli altri. Ero sicuro di passarmela bene, di essere felice. Prima di addormentarmi ripassavo, nella mente, le sensazionali esperienze della giornata. Ma non me le ricordavo. Ero andato troppo in fretta. Le sensazione che mi erano sembrate bellissime, erano fuggite via. Dialogare con la mia famiglia, pregare, fermarmi a meditare, erano cose che mi avrebbero fatto perdere tempo. E invece fuori c'era il mondo da conquistare.
Il sabato la discoteca, il giovedì la partita a poker, i pomeriggi con la fidanzata e la sera con gli amici o con la TV. E poi c'erano gli incontri di calcio, il biliardo, il motorino, i viaggi, lo sci, la chitarra. Il mio carnet è sempre stato pieno, ho sempre fatto mille cose, ma non ho mai fatto niente.
- Non hai nemmeno cinque minuti per noi - mi rimproveravano i miei genitori. Sorridevo e fuggivo via. Ora ripenso a quegli anni che nella mia mente sono solo minuti. Qualche immagine che la memoria ritiene a fatica è il ricco patrimonio delle corse giovanili. Bloccate all'improvviso.
- Dovresti tornare, tuo fratello si è fatto male -. E' cambiata la mia vita. Quel maledetto treno era lento. Mi riportava indietro verso Pescara da un ennesimo viaggio del piacere. Il sedile era piccolo per me e per i miei pensieri che fuggivano e tornavano portando nell'anima a volte speranza e spesso tragedia. Non sapevo cosa fosse accaduto a mio fratello Carlo. Cristiana mi ha cercato al camping per invitarmi a tornare.
- Ha sbattuto la testa tuffandosi dagli scogli, ma non è grave -. Le ultime quattro parole hanno suonato più delle altre la campana funebre nel mio cuore. Pure un sordo avrebbe inteso che erano state dette per consolarmi.
Mi scoppiava il cervello, lo stomaco si contraeva, il cuore tremava.
Era già morto? Forse è stata solo una brutta contusione. Ma allora perché mi hanno cercato in Puglia? Forse si sono impauriti gli altri, ma in realtà Carlo sta bene. Cristiana ha detto che non è grave. Lo ha fatto per non impressionarmi?
Questa era l'ipotesi più credibile ma la cacciavo con forza disperata dalla mente.
E facevo patti con Dio: non fumo più se lo fai stare bene.
E pregavo. Ma il treno non arrivava mai.
Alla stazione di Lecce avevo telefonato ai miei genitori: - è tutto paralizzato - piangeva mio padre. Non avevo la forza di consolarlo.
Dopo un mese Carlo morì. Cambiò la mia vita. Il dolore per la perdita del mio unico fratello, la responsabilità di genitori ormai anziani e provati troppe volte dalla brutalità della vita, il contatto diretto con la sofferenza e con la tragica realtà dell'esistenza furono vere maestre di vita". Paolo si era abbandonato a ricordi della sua giovinezza. Piangeva.
Quelle lacrime cacciavano via anche il triste ricordo della morte improvvisa dei suoi genitori, Angela e Alberto, che lo avevano lasciato solo; solo con la necessità di crescere in fretta, di saltare nell'universo dei grandi.
Solo fino al suo matrimonio con la bellissima Eva.
La pioggia non picchiettava più sulla finestra ed in cielo si erano accese mille stelle luminose.
Del grande tronco di legno che bruciava nel camino non era rimasto che frantumi di brace fumante.
"Dedicherai a tuo fratello Carlo questo importante processo che ti hanno affidato. Sono sicuro che opererai con grande professionalità e darai la massima assistenza al tuo cliente. Vincerai la causa" lo consolava il suo amico paterno Gianfranco, un giudice che era stato anche docente di Paolo durante gli anni dell'università.
Erano le 11 di sera di una domenica di marzo. Il giorno seguente Paolo Giusto avrebbe difeso un ragazzo accusato di un crimine di cui si parlava già da tempo su tutta la stampa mondiale.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

prof..ma il libro ha anke qlks d autobiografico?
io nn so la sua storia,xo...da cm racconta sembra d aver vissuto il prima xsona il ftt del fratello k ha sbattuto la testa agli scogli,....

robertorubino ha detto...

sì, qualcosa di autobiografico c'è!